La Cop28 è finita, ma bisogna essere consapevoli del fatto che il vero test risiede altrove. Dalla disinformazione al ruolo delle città, ciò che conta avviene lontano dai riflettori.
Cinque giovani attiviste di ritorno dalla Cop27
Dove sono andate per portare una petizione contro il riscaldamento globale e per la protezione dei migranti climatici.
- #ClimateofChange è un progetto di sensibilizzazione europeo che coinvolge 16 organizzazioni, con capofila l’italiana WeWorld. Lo scopo è sviluppare la consapevolezza dei giovani cittadini e cittadine dell’Ue sul nesso tra cambiamento climatico e migrazioni, oltre a coinvolgerli per sostenere la giustizia climatica globale.
- Cinque ragazze europee sono state selezionate per ricevere una formazione sulla crisi climatica e partecipare alla Cop27. Sono state le ambasciatrici di una petizione – ancora aperta – che ha raccolto oltre 100mila firme contro il riscaldamento globale e per la protezione dei migranti climatici.
- Le cinque attiviste erano alla loro prima esperienza a una conferenza delle parti e hanno riportato a casa impressioni diverse sul loro viaggio in Egitto. Conoscere coetanei impegnati in tutto il mondo è stato di grande ispirazione, raccontano, per continuare a lottare e costruire un pezzetto di cambiamento.
Meglio un mezzo accordo che nessun accordo, meglio un risultato mediocre che nessun risultato? A ogni grande conferenza internazionale – su qualsiasi tema – ci si pone questa domanda. E così è stato in Egitto quando si sono tirate le fila dei risultati ottenuti con la Cop27: raggiunto l’accordo storico sul fondo loss and damage ma nessun passo avanti sul taglio delle emissioni.
Il compromesso è alla base dei grandi negoziati, ne sono consapevoli le cinque giovani attiviste che abbiamo incontrato a Milano prima che partissero alla volta della Cop27, la loro prima esperienza di questo genere. Entusiaste, preparate, focalizzate sull’obiettivo: consegnare una petizione con oltre 100mila firme per promuovere un impegno effettivo contro il riscaldamento globale e la protezione dei migranti climatici.
Chi sono le attiviste
Kamila Ciszewska, Ema Hristova, Paloma Abril Poncela, Fanny Kiss e Penny Dalkou hanno tutte meno di 25 anni e vengono da Polonia, Bulgaria, Spagna, Ungheria e Grecia. Nessuna di loro è una scienziata ambientale o simili, studiano relazioni internazionali, amministrazione pubblica e persino filologia classica.
Due anni fa hanno partecipato a un torneo di dibattito sulla crisi climatica che le ha portate a essere selezionate per il progetto #ClimateofChange, la campagna di comunicazione europea – portata avanti da 16 organizzazioni e guidata dall’italiana WeWorld – che mira a sviluppare la consapevolezza dei giovani cittadini e cittadine dell’Ue sul nesso tra cambiamento climatico e migrazioni, oltre a coinvolgerli per sostenere la giustizia climatica globale.
Le cinque studentesse hanno quindi affrontato una lunga formazione su diversi temi – da lezioni su clima e advocacy fino a un viaggio in Kenya per vedere di persona gli effetti della crisi in corso – per poi arrivare a Cop27 come rappresentati del gruppo di giovani europei che ha scritto la petizione e ha raccolto oltre 100mila firme (è ancora aperta, per chi vuole firmarla).
Per caso le selezionate per il progetto #ClimateofChange sono state cinque ragazze, la candidatura era aperta a tutti. Forse è un riflesso delle tante giovani personalità femminili di spicco che animano il dibattito sulla crisi climatica.
Nessuna di loro nella nostra chiacchierata nomina Greta Thunberg, la grande assente di questa Cop27, ma come ispirazione viene fatto il nome dell’attivista ugandese Patience Nabukalu, che si batte per dare maggior voce alle persone delle aree più colpite dal riscaldamento globale.
Cosa hanno fatto
Le cinque sono partite alla volta di Sharm el-Sheikh con la voglia, soprattutto, di incontrare altri giovani come loro ━ più che di stringere la mano ai politici e rappresentanti delle istituzioni ━ e di dare sfogo a questa urgente necessità di farsi ascoltare, condivisa con gli attivisti di tutto il mondo. Al ritorno confermano che le loro aspettative erano giuste: la maggiore ispirazione è stata discutere con i coetanei e conoscere storie di attivismo locale da cui prendere esempio.
Come racconta Kamila Ciszewska: “Siamo state orgogliose del discorso tenuto da Paloma e Fanny alla conferenza a cui abbiamo partecipato per presentare la nostra petizione. Sono andate dritte al punto. Peccato che nessun rappresentante dell’Unione europea sia alla fine venuto ad ascoltarci, come invece ci era stato promesso”.
Anche Ema Hristova esprime un sentimento difficile da descrivere: “Torno a casa con una certa dose di speranza, ma mi sono anche fatta l’idea che il cambiamento vero non avvenga a questi summit, dove tutto sembra già deciso altrove. È un impegno difficile quello della lotta alla crisi climatica: deve iniziare ascoltando le persone che vivono questa crisi in prima persona. Alla Cop27 ho toccato con mano la forza d’azione che si scatena quando tanti individui spingono verso lo stesso obiettivo. Per questo rimango convinta che, se tutti daranno il proprio piccolo contributo, potremo costruire un vero cambiamento”.
Fanny Kiss è la più critica al rientro dall’Egitto: “Non immaginavo che le aziende avessero uno spazio così centrale alla Cop”, sentenzia. “È stato cruciale scambiare idee e opinioni con altri giovani da tutto il mondo che, con il loro impegno, fanno la differenza a livello locale. Noi abbiamo raccontato della nostra petizione, loro di altre iniziative da cui possiamo prendere spunto. E l’ultimo giorno sono ripartita con una strana valigia piena di un misto di speranza e rassegnazione. Se questi attivisti saranno i futuri politici che siederanno ai tavoli di negoziazione, penso che potremo ottenere grandi risultati. Devono però preservare lo spirito che ho visto alla Cop27”.
Non è facile avere vent’anni oggi e sperare nel cambiamento. Le attiviste e i loro coetanei crescono nell’era della permacrisis, la crisi permanente, scelta come parola del 2022 dal dizionario inglese Collins. Sembra un’etichetta definitiva, che non permette di vedere una soluzione oltre l’orizzonte affollato di problemi, difficoltà e congiunture sempre negative.
E mentre viene annunciato il prossimo Paese ospitante della Cop28 – a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, settimo produttore di greggio al mondo – non resta che ripeterci le parole di Nelson Mandela, le stesse con cui Simon Stiell, segretario esecutivo della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, ha concluso il suo discorso iniziale alla Cop27: “Sembra sempre impossibile, finché non viene realizzato”.
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