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Di tutte le bellissime storie d’amore e generosità che si leggono ormai sui social, come al solito la più tristemente bella proviene dalla realtà. E noi non finiremo mai di stupirci di quante persone seguano rapidamente di là le persone che se ne vanno. Come ha fatto Carlo Ripa Di Meana. Un grande ambientalista, un grande galantuomo.
Bruttissima notizia, ma il suo posto è accanto a Marina. E quindi la segue, le corre dietro. A distanza di due mesi dalla morte della moglie (il 4 gennaio 2018), Carlo Ripa di Meana scompare anch’egli.
“Poteva lavorare per diventare padre della Patria, volle essere il marito di Marina. Fino all’ultimo. E anche oltre” scrive Pierluigi Battista sul Corriere della Sera. Un’inquadratura perfetta, nella sua brevità, di un grande uomo che, molti lo sanno e molti no, ha fatto moltissimo per l’ambiente e per gli animali.
Forse per la sua grandezza interiore, forse per la sua età, forse per la sua intima ribellione alla monotonia, forse per la sterminata curiosità e l’eclettismo parossistico, sembra che Carlo Ripa di Meana potesse esser definito come un uomo in cui convivevano figure contraddittorie, tra loro opposte.
Il giovane aristocratico nato dalla nobile famiglia dei marchesi di Meana che andava a lavorare per conto del Partito comunista italiano a dirigere, a Praga, l’Unione internazionale degli studenti (ed è lì che incontra Bettino Craxi).
L’intellettuale coraggioso che sapeva mettersi di traverso contro il conformismo costruendo la Biennale del dissenso, quando molti, a sinistra, deploravano più Solgenitsin che i suoi persecutori.
Il ministro dell’Ambiente che odia le auto blu.
L’amico di Craxi che si dimette da ministro contro il decreto “colpo di spugna” nel pieno di Tangentopoli.
Il grande, carismatico leader di partito che non si fa problemi nel consultare i fidi consiglieri su ogni piccola quisquilia.
L’uomo timido e pignolo, il gaudente e il militante, il seguace del socialismo riformista e il portabandiera di un ambientalismo sposato con intransigenza, e non senza testacoda: le sue posizioni prudenti, scettiche o addirittura critiche sui cambiamenti climatici, sulle turbine eoliche e la green economy sono parse incomprensibili.
La sua figura pubblica come ambientalista si costruisce negli anni in cui è Commissario Cee all’Ambiente, dal 1985 al 1992, nelle commissioni di Jacques Delors.
Poi diviene ministro dell’Ambiente nel primo governo Amato, da cui si dimette nel 1993. Il Wwf ha diramato un comunicato in cui elogia il suo operato, anche in prospettiva storica:
“In quel periodo è riuscito a dare centralità alle tematiche ambientali proponendo, in tempi di avanguardia, una tassa sul carbonio. Certamente positivo anche il periodo da ministro dell’Ambiente nel primo governo Amato. Era attento alla tutela del territorio e del paesaggio, un interlocutore sempre presente nelle principali battaglie di salvaguardia ambientale nel nostro Paese. Aveva una visione positiva del futuro e un approccio anticonformista della vita ma sempre rispettoso delle diversità delle opinioni, convinto che la conoscenza e il dibattito di merito fossero la base della crescita culturale e quindi sociale”.
I Verdi lo invocano, per acclamazione, come loro portavoce, un equivalente del segretario di partito che nella federazione ecologista non esisteva, come carica.
Dal giugno 2005 al 2007 è presidente dell’associazione nazionale ambientalista Italia Nostra, tentando di salvarla dall’asfissia.
E infine a Roma fonda diverse associazioni animaliste, crea la prima filiale italiana dell’Ifaw, è sempre al fianco della moglie nel finanziare canili e iniziative per la protezione degli animali. Ma soprattutto, appoggia decine di happening, di proteste, di manifestazioni contro le pellicce, molte delle quali assai poco… istituzionali, fomentate dall’indomabile passione della moglie, Marina Ripa di Meana.
La storia di Carlo Ripa di Meana non può che concludersi così, a meno di due mesi dalla morte di Marina, che nell’ultima intervista ha dichiarato di averla “amata disperatamente”.
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