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Fridays for future, dal meeting di Torino si alza un grido: ascoltate le parole di chi soffre la crisi climatica

Al meeting internazionale dei Fridays for future hanno partecipato migliaia di attivisti e attiviste, da tutto il mondo. Priorità alla giustizia climatica.

Il sud del mondo ha avuto un ruolo di rilievo all’ultimo meeting internazionale dei Fridays for Future, che si è svolto a Torino dal 25 al 29 luglio. Come hanno ripetuto i giovani attivisti, non c’è “soluzione senza giustizia climatica” e quindi, per affrontare la crisi dell’ambiente che sta colpendo il mondo intero (crisi che non è mai stata così evidente come quella che sta caratterizzando l’estate in corso), è necessario unirsi alle lotte dei paesi più vulnerabili del mondo.

Fridays for future
Manifestazione dei Fridays for future a Torino. 29 luglio 2022 © Elena Gogna/LifeGate

La giustizia climatica è prioritaria per il movimento Fridays for future

I ragazzi e le ragazze che hanno preso parte ai lavori di Torino lo hanno fatto capire chiaramente: non muoiono solo gli orsi polari, le specie animali o vegetali, muoiono anche esseri umani. Per questo hanno coniato anche un acronimo: Mapa, che sta per most affected people and area (persone e luoghi più colpiti), e si riferisce alle persone che vivono nelle aree più esposte alle conseguenze dei cambiamenti climatici. A questo se ne è aggiunto un altro di acronimo, Bicop, black, indigenous e coloured people. Perché per le nuove generazioni di attivisti ambientali la giustizia climatica deve passare da qui: dal decolonialismo ambientale, dall’eliminazione dello sfruttamento delle risorse nel sud del mondo da parte dei paesi del nord.

Un messaggio trasversale, che è passato di bocca in bocca tra i Mapa, come un coro di voci all’unisono: “Noi dipendiamo dal nord del mondo, è vero, ma il nord del mondo dipende da noi”, ha detto Patience Nakubalu, 24 anni, ugandese. “Il global north, soprattutto i suoi decisori politici, non ha esperienza reale di cosa sia la crisi climatica. Noi sì. È ora che ci ascoltino”.

Noi dipendiamo dal nord del mondo, è vero, ma il nord del mondo dipende da noi.

Patience Nakubalu, attivista ugandese

Le istituzioni sottovalutano l’emergenza climatica 

Per una settimana, Torino si è trasformata nel megafono mondiale delle questioni climatiche. Decine e decine di attivisti hanno preso la parola nei vari incontri pubblici organizzati nel parco Colletta di Torino, puntellato di tende, e il campus universitario Luigi Einaudi.

Infine, il movimento si è riversato in un corteo nel centro città, da dove, con un fuori programma, tutto ha avuto inizio: il primo giorno dei lavori, infatti, un altro movimento di protesta, Extinction rebellion, che si è unito alla settimana dei Fridays for Future, aveva srotolato uno striscione sul palazzo regionale, nella centralissima piazza Castello, con su scritto Benvenuti nella crisi climatica. Siccità, è solo l’inizio. Un gesto che è costato 25 denunce e 5 fogli di via (il foglio di via impedisce alle persone interdette di fare ritorno dal comune che lo ha emesso), dimostrazione di quanto le istituzioni stiano sottovalutando la gravità dell’emergenza climatica.

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Il campeggio organizzato al parco Colletta di Torino © Fridays for future

Le notizie colpevolizzano gli individui

Il corteo che è arrivato nella centralissima piazza Vittorio è passato accanto al fiume Po, in evidente affanno dal punto di vista idrico. Gli autoctoni non ricordavano di aver mai visto così poca acqua, chi è giunto dall’estero non poteva credere che quello fosse il fiume più importante d’Italia. Un odore nauseabondo saliva dal letto del fiume e in molti hanno scattato foto per testimoniare – se ce ne fosse ancora bisogno – gli effetti sempre più evidenti della crisi ambientale.

Nello stesso giorno, al campus Einaudi i direttori di diverse testate giornalistiche nazionali discutevano di come questa crisi viene raccontata dai media. In una parola: male. I Fridays hanno chiesto loro non solo una maggiore attenzione ai temi ambientali e di non relegare queste notizie a trafiletti e pagine interne, ma soprattutto di dare queste notizie facendo più attenzione al modo, alla narrativa. Basta a titoli che colpevolizzano l’individuo: piuttosto, bisogna porre l’accento sulle responsabilità di istituzioni e società dei combustibili fossili (le quali, spesso, sostengono economicamente i giornali in questione e per questo motivo vengono incensate quando scelgono di investire in progetti di estrazione impattanti e inquinanti).

“Le grandi testate lamentano di non avere abbastanza giornalisti preparati sull’argomento”, è intervenuto al dibattito Tommaso Perrone, direttore di LifeGate. “Ma si tratta di una scelta: invece di investire e puntare su risorse a medio-lungo termine si preferisce puntare tutto su articoli di breve durata, con titoli spesso più votati al clickbaiting che all’informazione”.

Basta parole, c’è bisogno di fatti

L’urgenza è palpabile in tutti i discorsi pronunciati dagli attivisti. Agli incontri pubblici gli applausi sono sostituiti da mani che vibrano nell’aria silenziose: infatti, non c’è tempo per interrompere le argomentazioni, ogni parola pronunciata è contenuto e non retorica. Chi ha partecipato alle plenarie ha potuto assistere a un movimento in divenire, in costruzione dal basso, potente e onesto. Un movimento che rappresenta bene una generazione dove la collaborazione prevale sulla competizione.

Con l’incontro di Torino, i Fridays hanno stabilito che in futuro saranno più radicali, perché non c’è più tempo da perdere. “Non abbiamo bisogno di belle parole. Abbiamo bisogno di fatti” ha specificato Nansedallia Ramirez, giovane attivista dal Messico.

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