La Cop28 è finita, ma bisogna essere consapevoli del fatto che il vero test risiede altrove. Dalla disinformazione al ruolo delle città, ciò che conta avviene lontano dai riflettori.
Perché i diritti umani non trovano spazio alla Cop 25 di Madrid
I negoziati alla Cop 25 di Madrid hanno portato a numerosi passi indietro sul tema dei diritti umani e, in particolare, sul Gender action plan.
Il rispetto dei diritti umani e delle diversità sono stati trasformati in merce di scambio alla Cop 25 di Madrid. Nell’ambito dei negoziati della conferenza delle Nazioni Unite, i delegati delle quasi 200 nazioni presenti hanno infatti cancellato una serie di riferimenti in più parti del cosiddetto “rulebook”, ovvero il testo che dovrà assicurare l’attuazione concreta dell’Accordo di Parigi. Nonostante associazioni, organizzazioni non governative e società civile ripetano da anni che transizione ecologica e lotta ai cambiamenti climatici non possono prescindere dalla tutela di poveri, minoranze e comunità vulnerabili.
Cosa succede se una diga non rispetta le comunità locali?
“Eliminare determinati riferimenti ai diritti umani renderà tutto più complicato – spiega Chiara Soletti, policy advisor dell’Italian climate network ed esperta di diritti umani e parità di genere – e lascerà molto più spazio di interpretazione ai governi. Il che rischia di rallentare l’azione climatica. Oppure di portarla avanti ma a fronte di costi sociali enormi. Basti pensare al caso delle grandi dighe, che sfruttano un’energia rinnovabile, quella idroelettrica, ma spesso comportano il mancato rispetto delle comunità locali, che subiscono le conseguenze legate agli stravolgimenti del territorio”.
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Le donne, in questo senso, sono spesso in condizioni di difficoltà nel mondo: “A loro in troppi casi non vengono riconosciuti i diritti. Alla proprietà, a vivere da sole, all’autonomia. E tutto ciò può essere inasprito con i cambiamenti climatici, dal momento che questi possono portare numerosi problemi alle comunità locali. Per via della mancanza di infrastrutture, ad esempio, o per problemi di approvvigionamento idrico. Esattamente come nel caso di anziani, disabili, bambini, minoranze etniche, le donne devono essere tutelate”.
Quale sorte per il Gap, il Gender action plan
È per questo che alla Cop 25 si discute anche di Gender action plan (Gap): “E finora è andata davvero male – prosegue Soletti –. La versione del testo che avevamo quando siamo arrivati a Madrid era un testo perfettibile, certo, ma comunque buono. Nel corso dei negoziati, tuttavia, la discussione si è spostata sulla questione dei fondi: in particolare le nazioni africane hanno chiesto di poter introdurre la possibilità di accedere al Green climate fund per finanziare progetti legati al Gap. Ipotesi rifiutata da Stati Uniti e Unione europea, secondo i quali non si trattava del contesto giusto per parlare di fondi. A quel punto si è generata un’impasse”.
Ora la decisione sul punto è nelle mani della presidenza cilena della Cop 25: “Quest’ultima potrebbe chiedere ai negoziatori di tornare sul tema prima del termine della conferenza, il che è tuttavia improbabile, visti i tempi ristretti. Altrimenti, il tutto potrebbe essere rimandato alla prossima sessione di giugno, a Bonn. E, duole dirlo, ma dal punto di vista delle ong potrebbe essere il male minore, dal momento che la situazione è talmente complessa da rischiare di far saltare del tutto il Gap. I passi indietro, su numerosi aspetti, sono stati colossali”.
Bisogna aumentare la pressione sui governi
Ciò che occorre dunque fare, negli ultimi giorni della Cop 25, è moltiplicare la pressione sui rappresentanti degli Stati: “Non ci resta che far passare il messaggio che un Gap ‘annacquato’ è problematico, ma ancora più dannoso sarebbe non avere un programma dedicato ai diritti delle donne. Si tratterebbe di un messaggio estremamente negativo rivolto alla comunità internazionale, anche in vista delle celebrazioni, nel 2020, dei 25 anni dall’adozione della Dichiarazione di Pechino, il primo trattato internazionale sui diritti delle donne”.
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