Editoriale

Epilogo

L’epilogo della storia musicale dei Daft Punk ha lasciato il segno. Un ricordo del direttore artistico di LifeGate Radio.

Quando lunedì pomeriggio è arrivata la notizia che i Daft Punk avevano annunciato il loro scioglimento, ho sorriso.

E devo dire che a qualche giorno di distanza, nonostante un po’ di malinconia, sono contento.

Daft Punk © David Black

Ho vissuto buona parte della mia storia personale e professionale musicale parallelamente alla loro, fino ad incrociarla.

Nel luglio del 2006 con tre amici siamo partiti in “pellegrinaggio” fino a Strattford-Upon-Avon, nella ridente campagna inglese. 1.438 chilometri di viaggio percorsi a bordo di un vecchio furgoncino Volkswagen per assistere alla prima data del tour europeo, una rentrée evento attesa dai fan per anni e che dodici mesi dopo li avrebbe portati anche in Italia. Il 12 luglio 2007, a Torino.

È qui che le nostre strade si sono incrociate e ho avuto la fortuna di passare un po’ di tempo insieme a loro, al termine del loro memorabile show. Abbiamo chiacchierato amabilmente per mezz’ora sorseggiando champagne, come fossimo vecchi amici. È uno dei ricordi più preziosi che ho.

Non ho letto né opinioni, né articoli sull’epilogo di questa storia, quindi mi sfugge il motivo per cui si siano sciolti a otto anni di distanza dal loro ultimo album.

Mi piace però pensare che Thomas e Guy-Man si siano incontrati per dare un seguito alla loro ultima fatica o forse per capire se ne valesse la pena.

Non è facile entrare nelle grazie di pubblico e critica e rimanerci per oltre vent’anni, facendo quello che vuoi, come vuoi, quando vuoi.

Non è facile trovare le motivazioni per rimettersi in gioco quando le aspettative sono alte, anzi le più alte possibili; quando sei ormai considerato, a ragione, una leggenda.

Li ho immaginati seduti nel loro studio di registrazione guardarsi negli occhi e con grande naturalezza alzare le mani dagli strumenti, spegnere computer, mixer e luci; alzarsi ed uscire, lasciando tutto così: ritenendo non fosse il caso di aggiungere altro, mettendo la parola fine a una delle storie più belle degli ultimi decenni.

Così quando ieri, a distanza di anni, ho rivisto esplodere Thomas, come nel finale di Zabriskie Point, mi sono venute in mente le parole di Neil Young in Hey hey, my my (Into the black), già prese in prestito da Kurt Cobain per un commiato ben più drammatico: “It’s better to burn out than to fade away”.

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