Vidas

Distanti ma non soli. Come Vidas ha sostenuto i parenti delle vittime del virus

Lo sportello psicologico Distanti ma non soli di Vidas ha aiutato i parenti delle vittime della pandemia e gli operatori sanitari a superare questo difficile momento.

Occuparsi di persone alla fine della vita significa prendersi cura in modo olistico dei pazienti e del loro mondo di affetti. E richiede una grande attenzione alla singolarità del percorso di ciascuno. Da questo sogno, dall’idea che nessuno dovesse morire solo e che ogni sofferenza possibile dovesse essere lenita, è nata Vidas.

Dare risposta al dolore dove si manifesta, con professionalità e generosità, è lo stile che ha guidato l’Associazione fin dalla sua nascita ad opera di Giovanna Cavazzoni. “Rigore e fantasia” era il suo motto, che continuiamo a provare a tradurre in operatività anche oggi, nel tempo di profondo smarrimento in cui la pandemia ci ha violentemente scagliato.

L’iniziativa Distanti ma non soli in fondo è stato questo: uno sportello di supporto psicologico destinato a chi aveva perso qualcuno drammaticamente spesso senza nemmeno la possibilità di un saluto, ma anche agli operatori sanitari travolti da un’esperienza di morte seriale cui non erano preparati.

Distanti ma non soli: un’esperienza forte

In fondo, ci siamo detti, chi meglio di noi ha esperienza dell’accompagnare al fine vita, di sostenere chi ha perso chi amava, di consolare i dolenti?

È stata un’esperienza molto forte. Delle diverse centinaia di chiamate ricevute da tutta Italia, molti erano di familiari in lutto, decisamente meno quelle provenienti dagli operatori sanitari.

Molte richieste, accanto al supporto al lutto e al sostegno nella rielaborazione dell’esperienza vissuta, nascevano proprio dal bisogno di conforto, di contatto umano, di relazione.

 

Abbiamo avuto la conferma della violenza della solitudine in cui la diffusione del virus e il conseguente lockdown hanno gettato una fascia ampia della popolazione, soprattutto quella più anziana.

L’esperienza si è inserita nell’adeguamento organizzativo di tutta l’Associazione che ha dovuto superare il tradizionale approccio “low tech, high touch”, capace di affiancare a competenze sanitarie il contatto fisico, l’uso sapiente degli sguardi, la funzione terapeutica di un sorriso, adattandosi all’uso sapiente della tecnologia.

Anche questa in fondo è una lezione preziosa di cui fare tesoro anche dopo che la pandemia sarà finita: la capacità di guardare con occhi nuovi gli strumenti che abbiamo a disposizione, liberando lo sguardo dal pregiudizio.

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