Premi Nobel

Cos’è l’economia comportamentale e cosa dicono gli studi di Thaler premiato col Nobel

È un’economia dal volto umano quella premiata dal Nobel 2017. Un’economia che non ci ritiene infallibili, ma indaga le nostre dinamiche psicologiche.

A sorpresa, il premio Nobel per l’Economia 2017 è stato assegnato a Richard H. Thaler. Statunitense, Thaler ha da poco compiuto 72 anni ed è professore all’università di Chicago. Con il prestigioso riconoscimento, l’Accademia di Svezia ha voluto premiare “il suo contributo all’economia comportamentale”. Questa branca dell’economia politica prende a prestito alcuni concetti della psicologia per spiegare le conseguenze, in termini economici, del nostro essere umani. E, in quanto umani, mai razionali al cento per cento, ma soggetti a errori e indecisioni.

Econs e Humans nell’economia comportamentale

Il lavoro di Thaler parte negli anni Settanta da una coraggiosa critica alla teoria economica classica, che dipinge un mondo in cui domanda e offerta si incontrano nel punto di equilibrio perfetto. E l’homo oeconomicus, a partire dalle informazioni che ha a disposizione e dalle sue capacità personali, cerca sempre di ottenere il massimo vantaggio per se stesso, minimizzando i costi.

Secondo Thaler, le cose non stanno esattamente così. O meglio, gli esseri umani possono essere divisi in due macro-categorie: gli Econs, completamente razionali e quindi capaci di prendere sempre la decisione corretta, e gli Humans, cioè tutti noi. Noi che in linea puramente teorica sappiamo qual è il prodotto più conveniente da scegliere sullo scaffale del supermercato, l’offerta di lavoro più promettente, la scuola giusta per i nostri figli. Nonostante questo, non sempre facciamo la scelta giusta. È proprio sugli Humans che si concentra la ricerca di Thaler. La sua opera più celebre è il libro Nudge: La spinta gentile (edito in Italia da Feltrinelli), scritto insieme a Cass R. Sunstein nel 2008 e divenuto in breve un best seller.

Una voce fuori dal coro, a Chicago

Curiosamente, Thaler arriva proprio dalla School of Business dell’università di Chicago, la roccaforte della scuola dell’economia liberista. Una scuola che per decenni è stata dominata da Milton Fiedman (premio Nobel per l’economia 1976), che si batteva per lasciare che il mercato si regolasse da sé, limitando il più possibile l’intervento dello stato e il ricorso alla spesa pubblica; teorie a cui attinsero a piene mani Ronald Reagan e Margaret Thatcher. Tra gli allievi di Friedman, anche José Piñera e i suoi Chicago Boys, che ebbero un ruolo centrale nelle politiche economiche del governo cileno di Augusto Pinochet. Negli anni dello strapotere della Scuola di Chicago, Thaler era uno dei pochi a contrastare la teoria economica classica e quindi era pressoché relegato ai margini.

Richard H. Thaler economia comportamentale
Richard H. Thaler, uno dei padri dell’economia comportamentale. © Scott Olson/Getty Images

 

 

La nostra (imperfetta) contabilità mentale

Nelle sue motivazioni per il Nobel a Thaler, l’Accademia svedese nomina tre concetti fondamentali dell’economia comportamentale. Il primo è quello della razionalità limitata. Secondo Thaler, per semplificare le nostre decisioni finanziarie tutti noi elaboriamo una contabilità mentale (mental accounting) strutturata a compartimenti stagni. In linea puramente teorica, 100 euro hanno sempre lo stesso valore, indipendentemente dal fatto che siano un regalo o il nostro stipendio. Nella pratica, però, nella nostra mente abbiamo tanti cassetti separati: quando dobbiamo prendere una decisione, la incaselliamo in un singolo cassetto e ci focalizziamo sul suo impatto individuale, invece di immaginare quello complessivo.

Nella nostra contabilità mentale, per giunta, guadagni e perdite non hanno lo stesso valore. Cerchiamo sempre di evitare le perdite, che ci provocano una sofferenza molto più grande. Ciò significa che quando entriamo in possesso di un prodotto tendiamo a dargli un valore molto più alto (un fenomeno che si chiama effetto dotazione, endowment effect).

Leggi anche: Chi sono i 6 premi Nobel del 2017, la lista e le motivazioni

Preferenze sociali e mancanza di autocontrollo

Quello di preferenze sociali è il secondo concetto citato dall’Accademia di Svezia nelle motivazioni per l’assegnazione del Nobel. Thaler ha studiato a lungo il concetto di equità economica, arrivando a dire che, quando la domanda è alta, i timori dei consumatori sull’equità possano portare le aziende a decidere di non alzare i prezzi; ciò non accade, però, nei periodi in cui si alzano i costi. Thaler è tra i padri del gioco del dittatore, un esperimento per misurare l’altruismo.

Tra i meriti dell’economia comportamentale c’è quello di dare uno spessore e una rilevanza scientifica a fenomeni che viviamo sulla nostra pelle. Perché ci ripromettiamo di risparmiare per la vecchiaia, o di intraprendere uno stile di vita più sano, e poi non riusciamo a restare fermi nei nostri propositi? Il motivo, secondo Thaler, sta nella mancanza di autocontrollo (terzo e ultimo pilastro a cui ha dato risalto l’Accademia).

La spinta gentile

Proprio per affrontare questa mancanza di autocontrollo, Thaler ha coniato il termine nudging, quella spintarella gentile che dà il titolo alla sua opera più celebre. L’economia comportamentale dice che le persone possono avere accesso a tutte le informazioni necessarie per fare la scelta migliore in assoluto, ma spesso sbagliano. Questo perché vengono influenzate dal contesto, fenomeno che in gergo viene detto framing (letteralmente, la “cornice” con cui quelle informazioni vengono presentate).

Se è così, è possibile anche sfruttare questo fenomeno a fin di bene, cercando di indirizzare le persone verso le scelte più ragionevoli. È il paternalismo libertario: ciascuno di noi è libero di fare le proprie scelte, ma le autorità possono presentare quelle scelte in modo da favorire i comportamenti virtuosi. Gli esempi sono tutto sommato intuitivi, anche per chi non mastica l’economia. È una spinta gentile, ad esempio, quella delle imprese statunitensi che iscrivono d’ufficio i loro dipendenti al fondo pensione aziendale, dando la possibilità di uscirne.

Foto in apertura © Scott Olson/Getty Images

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