Oggi, 12 agosto, è la Giornata mondiale degli elefanti. Humane world for animals da oltre 25 anni si impegna nella tutela di uno dei mammiferi più grandi del nostro Pianeta, purtroppo a rischio di estinzione.
Un gigante gentile mi osserva. I suoi occhi custodiscono ricordi. La sua immobilità trasmette fiducia. Trattengo il respiro.
Sono seduta in un veicolo, a pochi metri da un elefante selvatico, uno degli iconici e intelligenti giganti del Sudafrica. Siamo nel suo territorio. E, anche se avrebbe tutte le ragioni per non fidarsi degli esseri umani, lei resta lì, osservandoci con tranquillità e curiosità, mentre completiamo un altro giro di monitoraggio. Nessuno spostamento forzato. Nessuna uccisione. Solo la nostra presenza. Solo l’attenzione che dedichiamo a questi animali, dopo 25 anni di monitoraggio costante della stessa popolazione di elefanti, nell’ambito di un programma di ricerca a lungo termine condotto da Humane world for animals (precedentemente nota come Humane society international), in collaborazione con il partner accademico locale, l’Onderstepoort veterinary population management laboratory.
Questo momento rappresenta ciò che la conservazione può essere: etica, rispettosa e fondata sulla scienza. Ma non è sempre stato così.
Per decenni, la gestione delle popolazioni di elefanti ha comportato trasferimenti (spostamenti intenzionali, solitamente a scopi conservazionistici) o abbattimenti. Le popolazioni di elefanti africani hanno sofferto per decenni a causa della perdita di habitat, del bracconaggio e dei conflitti con gli esseri umani causati dalla competizione per le risorse. Confinati in frammenti dei loro antichi territori, spesso in riserve recintate, gli elefanti possono raddoppiare di numero ogni 10-15 anni, e i gestori hanno spesso reagito “rimuovendo” gli animali, trasferendoli o abbattendoli. Questi metodi, sebbene talvolta dettati dalla necessità, comportano spesso enormi stress, la rottura di legami sociali e dilemmi etici. Come biologa della conservazione, ecologa registrata e sostenitrice della protezione animale, insieme al mio team, ho trascorso più di vent’anni a tracciare un percorso diverso — uno che metta al centro il benessere degli elefanti sia come individui, sia come membri degli ecosistemi.
Si tratta dell’immunocontraccezione basata sull’utilizzo della “zona pellucida suina” (porcine zona pellucida). E sta trasformando silenziosamente il futuro della protezione degli elefanti.
Un nuovo paradigma: controllo della fertilità senza coercizione
L’immunocontraccezione rappresenta un metodo non invasivo per gestire le popolazioni di elefanti, che non prevede l’utilizzo di ormoni e che agisce in armonia con la biologia naturale di questi animali. La terapia viene somministrata a distanza tramite l’uso di dardi, e permette alle femmine di elefante di evitare la gravidanza senza compromettere la loro salute sociale o fisica. Si tratta di un metodo sicuro e reversibile, che può essere adattato a ciascun branco o riserva.
A differenza di interventi più invasivi, questa tecnica consente agli elefanti di rimanere nel proprio ambiente, all’interno dei loro gruppi familiari di origine. Le madri continuano ad allattare, le matriarche a guidare il branco, e la mandria resta unita. È semplicemente una variazione di un evento naturale sporadico, come una siccità, che allunga l’intervallo tra la nascita di un cucciolo e l’altro. Nel complesso, questo si traduce in effetti demografici sulle mandrie e sulle popolazioni, orientati agli obiettivi di gestione della riserva.
Ho intrapreso questo percorso all’inizio degli anni Duemila, nella Greater Makalali private nature reserve, dove il nostro team internazionale di ricerca ha applicato per la prima volta questo approccio agli elefanti africani in libertà, come metodo di controllo della popolazione in un sistema chiuso. Da allora, il nostro lavoro si è esteso a oltre 50 riserve, coinvolgendo più di 1.700 femmine di elefante al di fuori del Greater Kruger national park (il parco non adotta questa metodologia perché non incide sugli spostamenti e sull’uso dello spazio da parte degli elefanti, che rientrano tra gli obiettivi di gestione dell’area protetta).
Nondimeno, l’immunocontraccezione è riconosciuta come best practice per una gestione etica degli elefanti nelle “Norme e standard nazionali per la gestione degli elefanti in Sudafrica” (2008), secondo quanto previsto dall’attuale “National environmental management: biodiversity act” (Nem:ba).
— Humane World for Animals South Africa (@humaneworldsa) September 4, 2023
Il panorama giuridico sta cambiando. E deve farlo
Il Sudafrica sta attualmente esaminando una proposta di legge sulla biodiversità — il “National environmental management: biodiversity bill” (Nem:Bb) — pensata per creare un contesto normativo più flessibile, superando quello che alcuni considerano il rigido sistema di permessi della normativa vigente (Nem:ba), pur mantenendone gli obiettivi fondamentali di conservazione. Ciò che rende degna di nota la nuova proposta è il cambiamento di linguaggio e di intento: non parla soltanto di “risorse biologiche”, ma di benessere e obbligo di assistenza, e identifica lo Stato come custode della biodiversità.
Se adottata e applicata correttamente, questa legge potrebbe segnare una svolta: il riconoscimento giuridico che animali come gli elefanti non sono soltanto unità ecologiche da “gestire”, ma esseri senzienti, con interessi e vite che contano.
Perché la conservazione sia etica, deve porsi una domanda che vada oltre il semplice “che cosa funziona?”. Deve anche chiedersi: che cosa è giusto?
Un solo benessere: connettere gli esseri umani, gli altri animali e la natura
Ispirandosi ai principi One health e One welfare (che si basano sulla stretta interconnessione tra la salute e il benessere degli esseri umani, degli altri animali e dell’ambiente), una recente ricerca ha applicato il principio One wellbeing alla gestione degli elefanti in Sudafrica. Lo studio ha esaminato dodici diversi interventi di gestione, attuati nel passato e nel presente. L’analisi di oltre 3.300 interventi e del loro impatto relativo sul benessere ambientale, animale e umano ha portato a risultati molto chiari: l’immunocontraccezione si è classificata come l’intervento diretto più efficace e accettabile. Mentre alcuni interventi hanno portato a esiti positivi, come l’immunocontraccezione, molti altri – come gli abbattimenti e l’utilizzo di recinzioni – hanno causato danni imprevisti, non solo agli elefanti, ma anche alle persone e agli ecosistemi.
Lo studio ha evidenziato che le strategie di conservazione etiche non implicano soltanto la salvezza degli animali. Adottare simili strategie significa basarsi su principi di convivenza, sicurezza, equità e sostenibilità — elementi costitutivi di un quadro olistico che abbraccia il benessere umano, animale e ambientale.
UPDATE: Last week we relocated Riff Raff to a new reserve as he's considered a 'problem or damage-causing elephant' & was going to be killed. Remarkably, despite our best efforts & expectations, Riff Raff walked almost 40 miles back home & now it’s a race against time to save him pic.twitter.com/cCkDwInI3q
— Humane World for Animals South Africa (@humaneworldsa) March 29, 2018
Onorare vite individuali in una storia collettiva
Gli elefanti sono capaci di provare molteplici emozioni, instaurano relazioni sociali complesse e sono profondamente intelligenti. Ognuno di loro custodisce ricordi preziosi. Ogni mandria vanta una cultura specifica, legata alla regione d’appartenenza, alle esperienze vissute e alle proprie origini. Questo tipo di “cultura animale” è riconosciuto dalla Convenzione sulle specie migratorie (Cms), che sottolinea come le elefantesse più anziane trasmettano conoscenze utili (legate all’alimentazione, agli spostamenti, ecc.) che hanno un impatto positivo sul successo riproduttivo della loro mandria, e che sappiano come affrontare i conflitti con gli esseri umani. Distruggere questa cultura attraverso la nostra dipendenza da strumenti di gestione obsoleti significa ignorare le straordinarie scoperte scientifiche sulle vite interiori degli elefanti.
In uno studio del 2013, io e i miei colleghi abbiamo sostenuto che la conservazione degli elefanti debba essere progettata su scale biologicamente rilevanti, non solo per ragioni di efficienza, ma anche per garantire integrità etica e biologica. Questo serve a evitare i “disallineamenti di scala”, cioè le discrepanze tra la dimensione dei processi ecologici naturali e quella delle istituzioni responsabili della loro gestione, che spesso si manifestano nello sviluppo e nell’applicazione delle politiche per i grandi mammiferi.
Questi giganti gentili non sono numeri. Sono membri delle loro famiglie e di intere generazioni, insieme agli alberi e agli ecosistemi che modellano. Le pratiche di gestione adottate dagli esseri umani si concentrano spesso su periodi brevi, con obiettivi specifici legati alla durata degli incarichi politici, e si basano spesso su metodi come l’analisi di fotografie scattate da punti di osservazione fissi per il monitoraggio degli elefanti. Tuttavia, gli ecosistemi si evolvono attraverso un flusso continuo, non una struttura rigida, e gli elefanti, che vivono in media 60-70 anni, superano di gran lunga i limiti temporali delle pratiche gestionali umane, spesso circoscritte a programmi di gestione degli animali di dieci anni o, al massimo, a piani di gestione della biodiversità di vent’anni.
In occasione della Giornata mondiale dell’elefante, Humane world for animals South Africa propone questa visione: una strategia di conservazione in cui scienza e compassione procedano fianco a fianco. Dove gestione non significa predominio. E dove le politiche riflettono la nostra consapevolezza che gli animali selvatici meritano più della semplice sopravvivenza—meritano di prosperare. Quest’idea è ribadita nel “White paper on the conservation and sustainable use of biodiversity” del Sudafrica.
Una società inclusiva e trasformata che vive in armonia con la natura, dove la conservazione della biodiversità e l’uso sostenibile delle risorse garantiscono ecosistemi sani, capaci di generare nuovi benefici equamente suddivisi tra le generazioni presenti e future.
White paper on the coservation and sustainable use of biodiversity
Così come gli elefanti non conoscono confini—il 76 per cento è transfrontaliero—neppure le nostre politiche sugli elefanti dovrebbero essere geograficamente circoscritte. L’immunocontraccezione può essere applicata in diversi paesi di distribuzione degli elefanti; si tratta di potenziare le risorse e ripensare le strategie adottate, per esempio concentrandosi sulle zone critiche o sulle aree di particolare interesse (tenendo conto che parchi e riserve le hanno già individuate), considerando che gli elefanti hanno un forte legame con i loro territori di origine.
L’immunocontraccezione non è certo l’unica soluzione. Tuttavia, se usata in modo strategico e in sinergia con altri metodi innovativi, simboleggia ciò che si può realizzare quando si passa da una logica di controllo a una di cura. Humane world for animals si sta impegnando fortemente affinché questa prospettiva sia adottata da decisori politici e proprietari terrieri nella gestione futura degli elefanti. È un approccio che si basa su 25 anni di scienza, su un principio fondamentale di giustizia e un impegno per una conservazione efficace. E dovrebbe essere il fondamento del futuro che scegliamo per gli elefanti e per noi stessi.
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