
Un’invasione che sta mettendo a rischio l’ecosistema lagunare e le attività ittiche. Tra scarsi monitoraggi e l’invito al consumo umano, si sta perdendo di vista il vero problema: la perdita di biodiversità.
L’asta sarà aperta a cacciatori locali e internazionali e consentirà di uccidere 83 elefanti in tutto il territorio del Botswana.
83 elefanti sono appena stati condannati a morte in Botswana, dove il governo ha deciso di vendere all’asta le licenze per ucciderli. Si tratta della seconda asta da quando è stato sollevato il divieto alla caccia dei pachidermi nel 2019.
L’asta prevede la vendita di sei licenze di caccia per gli elefanti e due per altre specie e verrà tenuta venerdì 17 dicembre. Gli animali potranno essere uccisi dal 5 aprile 2022 al 31 dicembre 2022.
La decisione è stata confermata anche dal direttore dei parchi naturali Duncan Senyatso, che ha spiegato come le licenze saranno disponibili per cacciatori locali e internazionali, con precedenza ai primi. I ricavi, invece, dovrebbero essere “utilizzati per finanziare progetti di conservazione”. Tuttavia, quello che Senyatso non è riuscito a spiegare è come si possa finanziare dei progetti di conservazione uccidendo gli stessi animali che si dovrebbe proteggere.
“La popolazione di elefanti del paese è in eccesso di centomila esemplari, quindi non è a rischio estinzione”, ha sostenuto il direttore generale del Botswana wildlife producers association, Isaac Theophilus, cercando di anticipare le critiche che molto probabilmente arriveranno nei prossimi giorni. Secondo Theophilus, dunque, la caccia sarebbe un metodo come un altro per proteggere le specie. “Chi critica il Botswana non ha a cuore la conservazione”, ha affermato. “Il paese ha adottato una politica di sfruttamento sostenibile delle sue risorse naturali, delle quali fanno parte anche gli elefanti, e per questo dovrebbe essere elogiato”.
Peccato che gli elefanti africani (Loxodonta africana) siano comunque considerati vulnerabili nella lista rossa dell’Iucn, l’Unione internazionale per la conservazione della natura, e che non ci sia modo di sapere davvero quanti esemplari vengano uccisi ogni anno.
Inoltre, nella caccia al “trofeo”, il bersaglio sono sempre gli animali più grandi. I cacciatori mirano agli esemplari più imponenti, più forti, più cresciuti. Mirano a quegli esemplari che in natura avrebbero maggiori possibilità di sopravvivere e di portare avanti la propria specie. Così facendo conducono una selezione innaturale che mette a rischio l’intero ecosistema: perdendo gli animali più forti, vengono persi anche i migliori geni della specie e questo vuol dire che le generazioni future saranno meno in grado di adattarsi al clima che cambia sempre più velocemente, saranno più esposte alle malattie e nel complesso il rischio di estinzione sarà maggiore.
Il Botswana arriva anche da un periodo particolarmente complesso per i pachidermi, che oltre a essere minacciati dal bracconaggio, dai conflitti con le comunità locali, dalla perdita degli habitat a causa dei cambiamenti climatici e delle esplorazioni petrolifere sul delta del fiume Okawango (al confine con la Namibia), sono anche stati decimati da un misterioso batterio che solamente lo scorso anno ha ucciso oltre 300 esemplari. Per questo, la scelta di usare la caccia come sinonimo di conservazione solleva molti dubbi.
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Un’invasione che sta mettendo a rischio l’ecosistema lagunare e le attività ittiche. Tra scarsi monitoraggi e l’invito al consumo umano, si sta perdendo di vista il vero problema: la perdita di biodiversità.
Il governo del Botswana ha venduto all’asta le vite di trecento elefanti in cambio di cospicue somme di denaro da parte di facoltosi cacciatori di trofei.
Nello stato del Botswana, in Africa, è di nuovo possibile cacciare gli elefanti. Il presidente ritiene sia necessario ridurre il numero di esemplari che è il più alto nel continente.
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