Cop28

Cos’è la Emirates declaration su cibo e clima e perché l’Italia ci scommette così tanto

L’Italia è stata protagonista nella dichiarazione su agroalimentare e clima, la Emirates declaration. Sulla convergenza tra questi due temi vuole costruire anche l’agenda del G7.

In gioco c’è la trasformazione del modo in cui coltiviamo e produciamo il cibo per riuscire a sfamare l’intera popolazione mondiale. Ma anche la necessità di farlo senza mettere ulteriormente a rischio la transizione verso un’economia a emissioni nette zero e al fine di mantenere l’aumento della temperatura media globale entro gli 1,5 gradi Celsius. L’agricoltura, infatti, è sia vittima che carnefice della crisi climatica e questo rischia di portare l’intero sistema agroalimentare vicino al collasso. Per evitarlo, oltre 150 paesi hanno aderito alla Emirates declaration, ovvero la Dichiarazione della Cop28 su agricoltura sostenibile, sistemi alimentari resilienti e azione per il clima.

L’obiettivo di questa dichiarazione, fortemente sostenuta dall’Italia fin dalla Cop27 di Sharm el-Sheik, è quello di sensibilizzare la comunità internazionale sulla necessità di ricalibrare la quantità di soldi destinata alla finanza climatica verso il settore agroalimentare perché “far convergere queste due emergenze è fondamentale”, come ha spiegato in esclusiva a LifeGate anche l’inviato speciale per la sicurezza alimentare Stefano Gatti.

Tra il 2000 e il 2021, infatti, sono stati mobilitati circa 183 miliardi di dollari, di cui circa la metà dopo il 2016. Ma nel 2021, la cifra complessiva destinata al settore è stata di 19 miliardi, circa il 12 per cento in meno rispetto al 2020. E per invertire la rotta e puntare verso un riequilibrio della destinazione di questi finanziamenti, il nostro paese guarda alle necessità del continente africano, dove cibo e clima sono due facce della stessa medaglia. Un esempio emblematico riportato da Gatti è quello della Tunisia: in cinque anni una scarsità idrica senza precedenti ha ridotto la produzione di cereali da 2,5 milioni a 500mila tonnellate all’anno.

Il ruolo dell’Italia nella Emirates declaration

“Abbiamo appoggiato la logica e la direzione di questa Dichiarazione e sappiamo che non c’è modo di raggiungere gli Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sdgs) o di realizzare le promesse dell’Accordo di Parigi senza affrontare le interazioni tra sistemi alimentari, agricoltura e clima”, ha dichiarato Gilberto Pichetto Fratin, ministro per l’Ambiente e la sicurezza energetica, durante l’evento istituzionale che si è tenuto a Dubai e che ha visto l’Italia assumere la leadership insieme agli Emirati Arabi Uniti. “La presidenza italiana del G7 nel 2024 continuerà” a mantenere “alta l’attenzione sulla sicurezza alimentare globale nell’agenda politica internazionale” e per farlo si baserà anche sulle conclusioni della Cop28. In preparazione del G7, dunque, l’Italia – sempre attraverso le parole di Pichetto Fratin – ha deciso di supportare la “collaborazione per la cooperazione tecnica e dare attuazione alla Emirates declaration” al quale contribuirà con 10 milioni di euro come primo passo per attrarre investimenti nella realizzazione di piani che integrino “cibo e clima nei paesi in via di sviluppo”.

Di cosa si tratta? Di un tavolo che possa aiutare i paesi africani interessati, non solo a ricevere finanziamenti per progetti legati allo sviluppo sostenibile del settore agroalimentare, ma anche ad apprendere come confezionarli nel modo migliore. I 10 milioni di euro verranno presi dal fondo italiano per il clima che dovrebbe essere dotato di 840 milioni di euro l’anno dal 2022 al 2026, per poi stabilizzarsi sui 40 milioni di euro annui dal 2027 in poi, salvo la presenza di contributi finanziari di soggetti terzi, pubblici o privati.

La Fao traccia la rotta verso un sistema agroalimentare per un clima a +1,5 gradi

Per supportare la convergenza tra la lotta contro la crisi climatica e quella contro la fame, è intervenuta anche l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao). Il 10 dicembre, giornata dedicata al cibo, all’agricoltura e all’acqua alla Cop28 di Dubai, ha pubblicato una strategia che dovrebbe supportare la comunità internazionale a compiere tutte le azioni necessarie. Un piano che si svilupperà da qui al 2025, attraverso una collaborazione con le presidenze delle prossime conferenze sul clima, in particolare Cop29 e Cop30.

La roadmap della Fao è divisa in 120 azioni suddivise in dieci ambiti:

  1. Energia pulita
  2. Raccolti
  3. Pesca e acquacoltura
  4. Perdita e spreco di cibo
  5. Foreste e zone umide
  6. Alimentazione sana
  7. Allevamenti
  8. Suolo e acqua
  9. Dati
  10. Politiche inclusive

Nonostante sia passata già oltre la metà del tempo che abbiamo a disposizione per raggiungere i 17 Sdgs – adottati nel 2015 e in scadenza nel 2030 –, la strada verso l’obiettivo 2 Fame zero sembra in salita: oggi si stima che a fine percorso, tra soli sei annate di raccolti, saranno ancora 600 milioni le persone che soffriranno la fame rispetto alle 735 milioni di oggi, secondo quanto riportato dall’Indice globale della fame presentato in Italia dalla Fondazione Cesvi proprio a ridosso dell’inizio dei lavori della Cop28. Stiamo quindi vivendo una situazione di “stallo e regressione” rispetto al periodo che ha preceduto la pandemia e per questo è fondamentale, secondo la Fao, darci una svegliata e provare a migliorare l’efficienza nella produzione del cibo, al pari di quanto si sta facendo in altri settori, come quello energetico, per ridurre le emissioni di CO2 e adottando politiche di adattamento di medio-lungo periodo. Insomma, va ripensato l’intero sistema agroalimentare.

Tra le azioni più incisive presenti nella roadmap c’è la riduzione del 25 per cento delle emissioni di metano causate dagli allevamenti di bestiame. Oppure fare in modo che la pesca diventi totalmente sostenibile, senza eccezione alcuna. E poi dimezzare lo spreco di cibo ed eliminare l’utilizzo di stufe a carbone per la cottura degli alimenti. Tutto entro il 2030.

Per Craig Hanson, managing director del World resources institute, “una delle sfide più impegnative del nostro tempo è sfamare tutti entro il 2050 senza distruggere il pianeta nella fase di produzione” e a tale scopo “le nazioni più ricche devono convincere la loro popolazione a ridurre il consumo di carne e al contempo ridurre le emissioni del settore agricolo grazie alla tecnologia”. Infine, “i piccoli agricoltori devono essere sostenuti maggiormente nel percorso di adattamento agli eventi meteo estremi. E tutti questi cambiamenti devono avvenire senza che venga più abbattuto un albero per far spazio all’agricoltura”. Proprio quei piccoli agricoltori che, sempre secondo l’inviato speciale Gatti vanno valorizzati perché “sono loro i veri guardiani della terra”. Con la T minuscola.

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