Il governo italiano per la prima volta a giudizio per inazione climatica

Il 14 dicembre c’è la prima udienza della causa di cittadini e associazioni contro il governo. L’accusa è inazione climatica verso l’accordo di Parigi.

Il giorno del ‘giudizio universale’ è arrivato: ha inizio il 14 dicembre, con una prima udienza telematica, la prima causa intentata contro lo stato italiano per inazione climatica. Un evento storico, nel quale per la prima volta l’Italia si presenterà “alla sbarra” con l’accusa di non aver agito in modo adeguato nella lotta contro la crisi climatica e per il raggiungimento dell’obiettivo di contenimento dell’aumento della temperatura media globale definiti dall’Accordo di Parigi: quanto più possibile vicino a 1,5 gradi centigradi rispetto alla media pre-industriale.

Inadempienze che avrebbero come effetto la violazione di numerosi diritti fondamentali. Tra le argomentazioni della causa legale spicca, infatti, la relazione tra diritti umani e cambiamenti climatici. Questo almeno è l’impianto della causa intentata dai ricorrenti, ben 203, riuniti nell’ambito della campagna di sensibilizzazione intitolata evocativamente appunto Giudizio Universale, a voler sottolineare la portata globale della sfida climatica e l’urgenza di mettere in campo azioni di contrasto: tra loro 17 minori – rappresentati in giudizio dai genitori, 162 cittadini e 24 associazioni.

A capo dell’iniziativa è l’Associazione A Sud, da anni attiva nel campo della giustizia ambientale e nella difesa dei diritti umani che l’emergenza climatica rischia di compromettere. Tra gli altri ricorrenti anche Associazione Medici per l’Ambiente Isde Italia, Associazione Terra!, Coordinamento nazionale No Triv, Centro documentazione conflitti ambientali, Società meteorologica italiana.

Quali sono le richieste dei ricorrenti

Le richieste specifiche avanzate dai ricorrenti al giudice sono:

    • dichiarare che lo stato italiano è responsabile di inadempienza nel contrasto all’emergenza climatica;
    • condannare lo stato a ridurre le emissioni di gas a effetto serra del 92 per cento entro il 2030 rispetto ai livello 1990.

In particolare, spiega la portavoce di A Sud, Marica Di Pierri, la percentuale del 92 per cento, ben più ambiziosa del 65 per cento previsto dalla legge quadro sul clima in fase di preparazione in Parlamento, “è stata ottenuta applicando il principio di equità e il principio di responsabilità comune ma differenziata: ci siamo affidati a Climate Analytics  (una ong tedesca con sedi in tutto il mondo specializzata dal 2008 nello studio degli impatti dei cambiamenti climatici, ndr) . A loro abbiamo commissionato un calcolo basato sulle emissioni annuali di gas serra da parte dell’Italia, che non si è dotata ancora di un carbon budget, e tenendo anche delle sue attuali capacità tecnologiche e finanziarie. Sono stati utilizzati diversi parametri, in modo che il risultato fosse assolutamente equo e non attaccabile”.

La  condotta illecita dello Stato

Nell’atto, spiegano i promotori della campagna “si contesta la condotta illecita dello Stato, che non è riuscito a perseguire una politica climatica conforme alle acquisizioni scientifiche più avanzate”. La causa legale, continuano, “non ha affatto un valore simbolico, ma mira ad ottenere un radicale cambiamento nelle politiche climatiche dello Stato, attraverso un deciso aumento delle ambizioni di riduzione e la garanzia di piena tutela dei diritti umani, in ottemperanza alle obbligazioni climatiche che lo Stato è tenuto a osservare per effetto della Costituzione, degli accordi internazionali e delle norme di rango nazionale”.

Il flash mob dei promotori della causa contro lo Stato © Giudizio universale

Secondo il World Atlas of Desertification, le aree ad alto rischio di desertificazione in causo di aumento delle temperature sopra i 2 gradi entro fine secolo interessano almeno il 20 per cento del territorio italiano: le precipitazioni potrebbero ridursi del 30 per cento entro la fine del secolo rispetto al 1971-2000, secondo lo scenario peggiore delineato dall’Ipcc e intere zone costiere sono a rischio scomparsa per via dell’innalzamento dei mari. Non solo Venezia e l’alto Adriatico, ma anche vaste aree di Abruzzo, Puglia (sull’Adriatico) e Toscana, Lazio, Campania, Sardegna e Sicilia (sul Tirreno) sono a rischio erosione costiera o a rischio inondazione. Sul sito di Giudizio universale si può firmare per l’adesione alla campagna, e lasciare il proprio messaggio: tra i tanti lasciati da comuni cittadini, spicca quello di Luca Mercalli, presidente della Società meteorologica italiana: “Sono stufo di politiche verdi soltanto a parole e non nei fatti”.

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