La via di Laura Conti, oggi è più che mai da seguire

Laura Conti è stata una pioniera dell’ecologia in Italia. Medico, partigiana e deputata del Pci, è ispirazione dell’ultimo libro di Valeria Fieramonte. Una donna di altri tempi che ha anticipato i problemi del futuro.

Chissà come commenterebbe la sempre più devastante crisi climatica che sta sconvolgendo il pianeta, con il suo carico dilaniante di ingiustizie sociali, o l’ancor più delirante crisi bellica che sta annientando, in tutto il mondo, intere popolazioni. Nel tempo della “terza guerra mondiale a pezzi” e di un turbocapitalismo neoliberista che stanno acuendo la disperazione e la rassegnazione, la voce, ma soprattutto il pensiero lucido e l’impegno appassionato, dell’ambientalista e scrittrice Laura Conti, mancano profondamente a un paese che sta smarrendo la bussola della convivenza pacifica e tollerante, nonché della speranza per un avvenire più fecondo e generativo. Nei giorni in cui si ricorre il 32esimo anniversario della sua scomparsa (è deceduta il 25 maggio 1993), rileggere i suoi interventi e riscoprire l’attualità della sua testimonianza è un esercizio utile e, forse, necessario. Un prezioso supporto per non farsi travolgere dall’apatia distopica della contemporaneità è rappresentato dal volume, scritto dalla giornalista scientifica Valeria Fieramonte, La via di Laura Conti. Ecologia, politica e cultura a servizio della democrazia, pubblicato da Enciclopedia delle donne nel 2021 in occasione del centenario della nascita di colei che, rifiutando la definizione di scienziata, si è sempre definita “una studiosa dei problemi di ecologia”.

Libro Laura Conti
Il libro di Valeria Fieramonte su Laura Conti © Enciclopedia delle donne

La via (e la vita) di Laura Conti

Laureata in medicina nel 1948 dopo i sette pesantissimi mesi trascorsi – dal settembre del 1944 all’aprile del 1945 – nel campo di concentramento di Bolzano-Gries che ne hanno condizionato ed ispirato il modus operandi negli anni successivi, Laura Conti ha sempre lottato per il binomio tra giustizia sociale e ambientale, tra tutela dei diritti umani e salvaguardia (diremmo oggi) della nostra unica “casa in comune”, non limitandosi alla sola dimensione teorica, ma attivandosi in prima persona perché le numerose e diverse contraddizioni della società in cui viveva fossero affrontate e per lo più risolte.

Come si evince dal volume di Fieramonte, la cui penna elegante e leggera libera aneddoti e riflessioni, le catastrofi ambientali di Seveso e di Chernobyl, rispettivamente nel 1976 e nel 1986, videro la Conti strenuamente impegnata su più fronti: dalla denuncia dei rischi per la salute a quella – assai lungimirante – ad un interconnesso sistema politico-finanziario che mercificava già i diritti individuali e collettivi, compromettendo l’integrità e la vivibilità degli ecosistemi, fino alle campagne di sensibilizzazione e divulgative nei territori per condividere l’urgenza di una “conversione ecologica” democratica e popolare. Alla tenacia di Laura Conti, dunque, si deve la conseguente e rivoluzionaria direttiva europea “Seveso” che introdusse criteri per garantire la sicurezza, per esplorare i diversi rischi connessi all’attività agita, per gestire efficacemente le emergenze, per attuare i controlli e il monitoraggio continuo, per coinvolgere le comunità perché fossero edotte dei rischi e rese consapevoli sul da farsi in caso di nuovi incidenti.

Per quanto premesso, pertanto, non si commetterebbe un errore o un azzardo nel ritenere che Laura Conti – dal 1987 al 1992 deputata del Partito comunista italiano e notoriamente anti-clericale – avrebbe apprezzato a suo modo, se fosse ancora viva, le visioni espresse negli ultimi anni da due carismatici e profetici leader della nostra contemporaneità, recentemente scomparsi, come l’ex presidente dell’Uruguay Pepe Mujiica e papa Francesco. Fortissima in loro, come in Laura Conti, l’idea che il regime dell’antropocene debba essere disinnescato nella misura in cui esaspera l’individualismo e l’atomizzazione sociale che impedisce all’uomo di concepirsi in fraternità e in prossimità non solo con gli altri esseri umani, di cui condivide il destino, ma anche con la natura senza i cui benefici multipli non potrebbe vivere. Ne consegue, perciò, che già negli anni Settanta, a ridosso del successo planetario del volume Primavera silenziosa della biologa statunitense Rachel Carson e della pionieristica attività promossa dagli scienziati del Club di Roma, Laura Conti non esitò a denunciare i guasti e la protervia di un’economia che ignorava le ragioni dell’ecologia, nella martellante narrazione che lo sviluppo, illimitato per definizione, non dovessero essere ostacolate perché architravi del nuovo “umanesimo globale”.

Ci dobbiamo chiedere se è possibile salvare l’equilibrio vitale del Pianeta o almeno iniziare un’azione efficace in tale direzione, già all’interno del sistema capitalista, oppure se il sistema capitalista ci farà arrivare alla catastrofe…

Laura Conti
Laura Conti si interrogava, tra le altre cose, sui possibili rischi dell’innovazione tecnologica © Facebook

Dalla nascita di quella che sarebbe poi diventata Legambiente, di cui la Conti è stata l’ispiratrice non essendosi mai riconosciuta in un ambientalismo “elitario” o di facciata, alle numerose vertenze sociali e ambientali che l’hanno vista protagonista nel corso degli anni – nonostante il fallimento, enorme fu, per esempio, l’impegno profuso per il referendum contro i pesticidi che già avvelenavano i suoli e che distruggevano l’agricoltura – Laura Conti, e nel libro della giornalista Fieramonte si comprende bene, ha sempre utilizzato un linguaggio schietto, ma diretto e asciutto, perché era convinta che l’essenzialità e la radicalità fossero la via per la reciprocità e per una realtà più etica, che la chiarezza favorisse la consapevolezza, ma soprattutto che la verità agevolasse la “traduzione” della complessità tecnica-scientifica, nell’urgenza di diffondere i verbi della cura, della protezione ambientale, del rispetto dei limiti planetari.

Dietro questi fatti stanno i grandi cambiamenti nel mondo agricolo, soprattutto da quando l’agricoltura sta diventando il reparto all’aperto dell’industria chimica.

In uno dei suoi tanti lavori – Il dominio sulla natura pubblicato nel 1973, periodo nel quale scrive anche delle “eco-fiabe” per bambini e adolescenti – Laura Conti, a conferma di quanto fosse in grado di anticipare il futuro e di leggere le debolezze della modernità, si interrogava, infine, sulla valenza e sui possibili rischi dell’innovazione tecnologica. “Si potrà evitare che l’elettronica, coi suoi meravigliosi progressi, finisca col fare di ciascuno di noi un sorvegliato speciale?”, scriveva, nel desiderio che tutti “i frutti del progresso” non avvelenassero la civiltà e nella consapevolezza che il Paese (come propugnava anche Pasolini) necessitasse di scoprire la “pedagogia” del bene comune e della finitezza delle risorse naturali per modificare corresponsabilmente i propri stili di vita non diventando schiavi della “società dei consumi”.

Con Laura Conti, uno sguardo al futuro

Dopo oltre trent’anni, duole dirlo, molte sfide, ad oggi, sembrano perse o terribilmente compromesse. La biodiversità non è percepito diffusamente come un ecosistema fondamentale per la sopravvivenza del genere umano, l’accelerazione dei cambiamenti climatici sembra inarrestabile con una concentrazione inedita di anidride carbonica in atmosfera, le rinnovabili – almeno in Italia – non crescono al ritmo auspicato dall’Europa e dagli investitori virtuosi, e le disuguaglianze – non solo economiche – sono letteralmente esplose, nell’indifferenza dei Governi e nella sofferenza dei cittadini.

Non sappiamo come commenterebbe tutto questo Laura Conti, ma le sue parole – restituiteci dal bel libro di Valeria Fieramonte – sono un dono prezioso che non dovremmo sprecare: restituiscono la speranza che solo agendo insieme, con coscienza, nei territori che abitiamo e abilitiamo, un mondo più sano e giusto è ancora possibile.

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