
Mentre Shein sta concentrando i suoi sforzi per modificare il percepito del brand, nuove inquietanti accuse arrivano dagli Stati Uniti.
Il processo di trasformazione della moda in un’industria più sostenibile non passa soltanto attraverso il riciclo. Servono abiti che durano di più. Greenpeace spiega perché nel suo ultimo rapporto “Fashion at the crossroads”.
È da tempo che si sente parlare dell’esigenza di ridurre l’impatto di una delle industrie più inquinanti al mondo, quella della moda, convertendola in un’economia circolare e responsabile. Eppure, secondo il report Fashion at the crossroads pubblicato da Greenpeace, le strategie adottate finora non hanno ancora prodotto risultati efficaci in termini ambientali: tanto le imprese quanto le istituzioni stanno concentrando la maggior parte dei loro sforzi sul riciclo dei rifiuti in plastica provenienti da altri settori industriali.
Quello che ancora sembra mancare per il raggiungimento della circolarità è una visione più completa del processo produttivo e dei modelli di business che tengano in considerazione non solo il recupero dei rifiuti e l’eliminazione delle sostanze tossiche dai vestiti, ma soprattutto l’impiego di una minor quantità di materie prime. L’organizzazione ambientale che lotta per una moda più pulita e consapevole, infatti, ritiene opportuno cambiare l’intero modo di concepire l’abbigliamento perché è solo adottando soluzioni in grado di allungare il ciclo di vita dei materiali e degli abiti che si può minimizzare la produzione di rifiuti tessili.
Il vero problema ambientale è dato dall’eccessivo consumo di prodotti tessili che, nei Paesi in cui questa tendenza risulta maggiormente diffusa, vengono ancora smaltiti insieme ai rifiuti domestici finendo nelle discariche o negli inceneritori. Inoltre, a causa della mancanza di tecnologie che consentano di riciclare al cento per cento le fibre sintetiche e naturali, il riciclo nel mondo della moda riguarda solo in parte gli scarti tessili.
L’industria tessile e dell’abbigliamento sta cercando di ovviare al problema andando a sostituire i tradizionali tessuti con dei materiali come il poliestere ricavato dai rifiuti plastici dell’industria alimentare e delle bevande. Ma secondo il report di Greenpeace l’unico risultato raggiunto da questa iniziativa è stato “evitare di affrontare i veri problemi ambientali derivanti dall’utilizzo di poliestere e, nello specifico, la sua origine da fonti fossili e il suo contributo alla contaminazione da microfibre nei mari di tutto il mondo”.
A mettere fine alla cultura dell’usa e getta diffusa all’interno delle società più sviluppate devono essere i grandi marchi, nonché principali responsabili di questa situazione causata dalla rapidità con cui cambiano le tendenze e i modi di vestire. Per questo, Greenpeace si fa promotore di una moda più lenta che allunghi il ciclo di vita dei prodotti migliorandone il design, offrendo ai consumatori dei servizi di riparazione e raccolta di abiti usati all’interno dei punti vendita e limitando la promozione di un modello di consumo poco responsabile. Le aziende produttrici dovrebbero, inoltre, utilizzare più fibre naturali coltivate in maniera sostenibile riducendo l’impiego di materiali sintetici derivati dal petrolio che, oltre a rappresentare una grande minaccia per il clima e gli oceani, rendono i prodotti meno duraturi a causa della loro scarsa qualità.
La vera economia circolare, dunque, è quella che parte e finisce con i prodotti tessili, intorno ai quali è necessario costruire un modello di business che promuova prima la durevolezza nel tempo e poi il riciclo, educando il consumatore a preferire la qualità alla quantità.
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
Mentre Shein sta concentrando i suoi sforzi per modificare il percepito del brand, nuove inquietanti accuse arrivano dagli Stati Uniti.
Endelea è un brand che disegna e produce abbigliamento a cavallo tra Italia e Tanzania, creando valore per la comunità e rispettando l’ambiente.
A dieci anni dalla tragedia del Rana Plaza, l’industria della moda ha fatto passi avanti, ma continua la pressione per una filiera migliore.
Fibre riciclate: perché sono un bene per il pianeta e perché c’è ancora molto da fare
La moda è discriminatoria nei confronti degli anziani, che difficilmente vengono rappresentati. La battaglia dell’inclusività dovrebbe contrastare l’ageism
La viscosa è un materiale molto simile al poliestere, ma ricavato dalla cellulosa e per questo presentato come alternativa green. La realtà però è diversa.
Colmar ha ottenuto la validazione del claim etico da parte di Bureau Veritas aderendo all’iniziativa di dynamic discounting di FinDynamic.
Comprare meno, comprare meglio. Ecco nove brand per la nostra selezione mensile di marchi eco-conscious e rispettosi delle condizioni dei lavoratori
Appassionarsi a nuovi trend e rifarsi il guardaroba stagionalmente può anche essere divertente, ma che impatto ha sull’ambiente?