Perché la bolla dello shale gas ferma i regali di Natale in porto
Nave trasporto mercantile. Foto: Ingimage
Shale gas e crisi economica hanno messo in ginocchio le compagnie di trasporto marittimo, come la Hanjin. A rischio anche tutte le spedizioni natalizie.
Nave trasporto mercantile. Foto: Ingimage
Cosa c’entra la bolla dello shale gas, il gas di scisto ottenuto da argille, con la crisi del settore del trasporto mercantile (shipping)? Come spesso accade, la crisi è legata a uno squilibrio tra domanda e offerta, in altre parole ci sono molte più navi rispetto alle merci da trasportare. Tra le cause del difficile momento per il trasporto mercantile anche la bolla speculativa dello shale gas statunitense, creata quando il prezzo del petrolio era ai massimi e gli Stati Uniti avevano deciso di puntare tutto sull’esportazione di petrolio e gas non convenzionale prodotto con la tecnica del fracking. A seguito della nuova strategia energetica americana, molte compagnie avevano investito in navi cisterna per il trasporto di gas liquido e petrolio. Ma il prezzo del petrolio è crollato e il fracking è diventato economicamente insostenibile e così tutte le navi cisterna metaniere, pronte per essere spedite per mare, sono rimaste ormeggiate in porto.
La fine delle navi merci giganti
Nel 2010, in tempi di prezzi alti di petrolio, le compagnie di shipping avevano iniziato a puntare su grandi navi che viaggiavano a velocità ridotta per abbassare i costi di trasporto. Sì è infatti passati da navi da 3-4mila container a navi da 18-20mila container. Considerando che un container è lungo circa 6 metri, le navi di oggi riescono a trasportare talmente tanti container che se messi in fila uno dietro l’altro formerebbero una coda di 122 chilometri.
Tra le motivazioni della costruzione delle grandi navi c’era anche la riduzione degli impatti sull’ambiente. Il settore sostiene che si tratta di una misura di riduzione degli impatti ambientali, perché permette di diminuire le emissioni di CO2, in linea con le norme dell’Organizzazione marittima internazionale. Ma la crisi economica globale ha ridotto i volumi di beni prodotti e acquistati, oggi ci sono molte meno merci in circolazione e le compagnie di shipping con le loro meganavi, ancora una volta, sono costrette a stare ormeggiate in porto.
Il fallimento della Hanjiin e la crisi del settore
La Hanjin Shipping, con una flotta di 141 navi portacontainer, il 31 agosto ha dichiarato fallimento e ha portato i libri in tribunale. Si parla della prima compagnia di trasporto mercantile della Corea del Sud e la settima al livello mondiale. La bancarotta, secondo l’Economist, ha lasciato in mare 66 navi portacontainer cariche di merci, per un valore di circa 14,5 miliardi di dollari ed è stata definita la Lehman Brothers dello shipping.
Una crisi, quella del sistema di navi container, che si sta diffondendo a macchia d’olio e mettendo in difficoltà molte altre compagnie di trasporto marittimo. Delle dodici maggiori aziende di trasporto che hanno pubblicato i risultati per il trimestre passato, undici hanno annunciato perdite enormi. E molte compagnie più piccole sono sull’orlo del fallimento.
Maersk Line, leader del settore, quest’anno avrà i conti in rosso, dopo aver perso 107 milioni di dollari nei primi sei mesi dell’anno. Il settore potrebbe perdere fino a dieci miliardi di dollari nel 2016 su una base di ricavi di 170 miliardi di dollari, secondo i calcoli della società di consulenza Drewry specializzata nel trasporto marittimo.
La crisi probabilmente toccherà anche noil: il 95 per cento del trasporto merci avviene per mare, che si tratti di prodotti alimentari, elettronica, abbigliamento, materie prime, petrolio o carbone. Se il settore va in crisi la circolazione delle merci ne risentirà, tanto che oggi c’è preoccupazione per le forniture di prodotti per il periodo del Natale. Alcune società, come la Samsung, Nike, Ralph Lauren e Hugo Boss, stanno correndo ai ripari noleggiando dei cargo per trasportare le merci per via aerea e assicurare i rifornimenti nei negozi in tempo per Natale.
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