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E’ bene chiarire che i Clash poco hanno a che vedere con il nichilismo oltranzista dei Sex Pistols. Quello della band composta da Joe Strummer, Paul Simonon, Mick Jones e Terry Chimes – quest’ultimo presto dimissionario – è infatti un punk socialmente consapevole e impegnato, ricco di canzoni che trattano tematiche legate a quel periodo storico
E’ bene chiarire che i Clash poco hanno a che vedere con il nichilismo oltranzista dei Sex Pistols. Quello della band composta da Joe Strummer, Paul Simonon, Mick Jones e Terry Chimes – quest’ultimo presto dimissionario – è infatti un punk socialmente consapevole e impegnato, ricco di canzoni che trattano tematiche legate a quel periodo storico (’76-77) e che oggi, in piena crisi economica, tornano ferocemente d’attualità. Era la difficile Inghilterra pre-Tatcher fatta di scontri razziali, disagio giovanile e disoccupazione: il punk rappresentava l’antidoto a quel voto generazionale incolmabile e i Clash ne erano “peculiari” e originali esponenti.
Concepito al diciottesimo piano di un grattacielo presso Harrow Road, Londra, The Clash è stato registrato nell’arco di tre week-end a partire dal 10 febbraio 1977 nello Studio 3 della CBS. Il costo totale dell'”operazione” è di 4000 sterline, anche se le canzoni epocali di questo omonimo disco d’esordio non hanno valore per impatto storico e ispirazione: un sound abrasivo fatto di pochi accordi, appassionati e concitati, come dimostrano gli inni White Riot – il primo 45 giri – Remote Control e I’m So Bored With The USA.
C’è anche spazio per il reggae-rock di Police & Thieves (cover di Junior Murvin) a dichiarare l’amore degli inglesi per la musica nera; passione che Strummer e compagni approfondiranno a partire dagli episodi successivi e che culminerà nell’eclettico melting pot di Sandinista!. Altra curiosità: l’edizione americana di The Clash (Epic, 1979) cambia drasticamente la scaletta e aggiunge due perle fondamentali come I Fought The Law (di Sonny Curtis) e (White Man) In Hammersmith Palais.
Roberto Vivaldelli
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