Iran. Un anno dopo la morte di Mahsa Amini, una nuova legge vuole dare 10 anni di carcere a chi non indossa il velo

In Iran è stata presentata una nuova legge repressiva contro le donne. Proprio quando ricorre l’anniversario della morte di Mahsa Amini.

  • Il 16 settembre 2022 Mahsa Amini moriva mentre era nelle mani di polizia. Era stata fermata perché non indossava bene il velo.
  • Nei mesi successivi ci sono state profonde proteste in Iran. Oggi la disobbedienza civile va avanti nelle strade e nelle università.
  • Il regime non sta a guardare e aumenta la repressione. Investendo anche nelle tecnologie per il riconoscimento facciale.

Il 16 settembre in Iran ricorre l’anniversario della morte di Mahsa Amini. La donna era stata fermata a Teheran dalla polizia morale perché non indossava il velo in una maniera considerata corretta ed era poi deceduta mentre si trovava in custodia degli agenti. Nelle settimane successive il paese era stato scosso da profonde rivolte guidate dalle donne, che hanno portato alla sospensione dell’attività della polizia religiosa

365 giorni dopo la morte di Amini però le donne in Iran sono ancora sotto minaccia. Un nuovo disegno di legge in esame presso il Consiglio dei guardiani della Costituzione vuole punire le donne che non indossano il velo con il carcere fino a 10 anni. Una legge definita di “gender apartheid” dalla comunità internazionale, che ha già fatto sentire la propria voce.

Iran
Proteste contro l’Iran dopo la morte di Mahsa Amini © Chris McGrath/Getty Images

L’anniversario della morte di Mahsa Amini

Il 13 settembre 2022 la 22enne Mahsa Amini è stata fermata a Teheran dalla polizia religiosa perché non indossava correttamente il velo. La legge islamica in Iran prevede che il velo copra tutto il capo delle donne ed eventuali violazioni riscontrate in strada possono portare a un fermo di polizia, fino alla custodia. Mahsa Amini in effetti è stata portata via dagli agenti ed è morta dopo tre giorni, il 16 settembre. Secondo diverse testimonianze, avrebbe subito violenze dagli agenti.

La morte della donna ha scatenato profonde proteste in Iran, come non se ne vedevano da tempo. A guidarle sono state soprattutto le donne, che si sono ribellate ai codici estetici integralisti a cui sono sottoposte nel paese. In strada sono stati dati alle fiamme gli hijab, i veli da indossare sul capo, molte donne si sono anche tagliate i capelli come gesto simbolico e ci sono stati violenti scontri con le forze di sicurezza del regime.

Il bilancio di mesi e mesi di manifestazioni è stato di oltre 500 morti e migliaia di dissidenti e manifestanti incarcerati. A decine sono già stati condannati a morte. Le proteste hanno però avuto qualche risultato, portando a un’interruzione dell’attività della polizia religiosa. A partire da luglio gli agenti morali sono però tornati a pattugliare le strade, ma questo non ha compromesso l’eredità lasciata dalle proteste. 

Dalle proteste alla disobbedienza civile

In Iran si è formata una nuova consapevolezza sociale, la protesta si è trasformata in disobbedienza civile e sempre più donne hanno trovato il coraggio e la forza di andare avanti con la propria opposizione al regime, grazie anche a un crescente sostegno da parte di una società che fino all’anno scorso aveva più paura di prendere posizione.

Se prima il rifiuto di indossare il velo era considerato un gesto estremo, oggi è sempre più frequente in Iran imbattersi in donne a capo scoperto e in veri e propri atti di protesta pubblica in piazza contro le stringenti norme di abbigliamento del regime. In alcune aree del paese, come il Sistan e il Baluchistan, ogni venerdì vanno in scena manifestazioni per i diritti delle donne che hanno assunto una portata più ampia, trasformandosi anche in un appello per maggiori diritti alle minoranze e per la lotta alla povertà. E nelle università del paese continuano a registrarsi episodi di protesta contro il regime e l’arresto di studentesse che si rifiutavano di indossare il velo.

Il gender apartheid dell’Iran

Di fronte alla nuova consapevolezza sociale della popolazione iraniana, il regime non sta a guardare. E dopo aver reintegrato la polizia religiosa, è pronto un nuovo pacchetto repressivo nei confronti delle donne.

Il Consiglio dei guardiani della Costituzione, un organismo composto da soli uomini che si occupa di analizzare i progetti di legge, sta esaminando in questi giorni un decreto che vuole punire con 10 anni di carcere le donne che non indossano il velo. I revisori potranno apportare modifiche per adeguare il testo alla legge islamica, poi il disegno di legge tornerà in parlamento per l’approvazione, che potrebbe avvenire nel mese di ottobre. Il testo prevede poi la chiusura dei negozi che accettano clienti che non indossano il velo.

L’Onu e alcune organizzazioni non governative come Human rights watch hanno alzato la voce contro il progetto di legge, parlando di “gender apartheid”. Ma il regime prosegue con la repressione. In alcune città dell’Iran come Saqqez, dove viveva Mahsa Amini, si stanno moltiplicando i checkpoint di polizia per controllare l’abbigliamento delle donne e sorvegliare su eventuali manifestazioni per l’anniversario della sua morte. Oltre a questo, il regime starebbe investendo sempre più risorse nelle tecnologie per il riconoscimento facciale, così da facilitare la sorveglianza delle donne e sul loro rispetto della legge sul velo.

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