In Iran via al processo contro due giornaliste che hanno documentato la morte di Mahsa Amini

Elaheh Mohammadi e Niloofar Hamedi sono state accusate dal regime dell’Iran di propaganda anti-regime e minaccia alla sicurezza dello stato.

  • Le due giornaliste nel settembre 2022 avevano realizzato reportage sulla morte di Mahsa Amini e le prime proteste.
  • Durante gli otto mesi di detenzione non hanno potuto avere contatti con familiari e avvocati.
  • Ora è partito il processo nei loro confronti. Le associazioni giornalistiche chiedono udienze pubbliche.

Nel settembre del 2022 le due giornaliste Elaheh Mohammadi e Niloofar Hamedi sono state tra le prime a documentare la morte di Mahsa Amini in Iran e le conseguenti proteste. Lo stato iraniano in risposta le ha arrestate e chiuse in prigione, negando loro contatti con avvocati e familiari. Ora, dopo otto lunghi mesi di detenzione, è iniziato il processo a carico delle due giornaliste. L’accusa è di minaccia alla sicurezza dello Stato e di propaganda anti-regime. Tutto questo per aver semplicemente fatto il loro lavoro.

Proteste contro l'Iran
Proteste contro l’Iran © Ozan Güzelce/ dia images via Getty Images

La morte di Mahsa Amini

Mahsa Amini era una 22enne del Kurdistan iraniano. Si trovava a Teheran assieme alla famiglia per visitare alcuni parenti, quando è stata fermata dalla polizia religiosa perché non indossava l’hijab, il velo islamico, secondo le radicali norme del paese. Alcuni testimoni hanno detto che la donna sarebbe stata picchiata dagli agenti all’interno del loro van. Poi l’avrebbero portata via per una sessione di “rieducazione”.

Mahsa Amini è morta tre giorni dopo, il 16 settembre. Il suo decesso è avvenuto tra mille ombre e ha scatenato profonde proteste in Iran, andate avanti per mesi. In poco tempo le manifestazioni sono diventate un grido collettivo contro il regime teocratico composto dalla Guida suprema Ali Khamenei e dal governo sciita del presidente Ebrahim Raisi. Tra le richieste quella di abolire la polizia religiosa. Diverse donne hanno compiuto gesti eclatanti durante le proteste, come tagliarsi i capelli e bruciare l’hijab. E alcune di loro sono state uccise dal regime, che ha messo in atto una violenta e massiva repressione

L’organizzazione Human rights activists news agency ha parlato di 522 persone uccise dal regime nel corso delle manifestazioni. Circa 20mila persone sono state arrestate e per alcune è stata comminata la pena di morte: secondo l’organizzazione Iran human rights, solo nel 2023 sono state condannate a morte 278 persone per il loro coinvolgimento nelle proteste. E il regime ha colpito anche i giornalisti.

L’Iran processa i giornalisti

Sono almeno 13 i giornalisti iraniani che sono stati arrestati durante le proteste, mentre facevano il loro lavoro. Tra questi ci sono Elaheh Mohammadi, reporter del quotidiano Ham Mihan, e Niloofar Hamedi, giornalista di Shargh Daily.

Mohammadi è stata arrestata il 29 settembre dopo che si era recata nel Kurdistan iraniano, terra di origine di Mahsa Amini, per documentare il suo funerale e raccontare le prime proteste anti-regime che stavano nascendo nell’area. Hamedi invece è stata arrestata dopo che si era recata all’ospedale di ricovero di Mahsa Amini per ottenere informazioni sulle sue condizioni. Le due giornaliste hanno scontato finora otto mesi di carcere, durante i quali le loro comunicazioni con familiari e avvocati sono state fortemente ostacolate. E questa settimana è iniziato il processo a loro carico.

Mohammadi e Hamedi sono accusate di propaganda anti-regime, minaccia alla sicurezza del paese e collaborazionismo con gli Stati Uniti. La loro colpa, di fatto, è quella di aver fatto il loro lavoro, dando risonanza alla proteste contro il regime. Che invece ha cercato fin dall’inizio di sminuire la morte di Mahsa Amini e sperava non se ne parlasse come poi è successo. Shargh Daily, il giornale in cui lavorava Niloofar Hamedi, ha fatto appello perché le udienze siano pubbliche, così che si possa vigilare sul trattamento riservato alle giornaliste. La stessa richiesta è arrivata dall’Association of journalists of Tehran province, mentre i giornali allineati al regime hanno difeso il suo operato contro le due donne.

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