
Da ormai due mesi Israele impedisce l’ingresso di aiuti umanitari nella Striscia di Gaza. E le scorte di cibo e medicinali per oltre due milioni di persone palestinesi stanno finendo.
Dalla morte di Masha Amini le proteste in Iran non si sono mai fermate. E la repressione del regime ha colpito anche la cittadina italiana Alessia Piperno.
Le proteste in Iran vanno avanti da ormai tre settimane. Dopo la morte a metà settembre di Mahsa Amini mentre era in custodia delle forze di sicurezza del paese, la voce del popolo, in particolare delle donne, contro il regime teocratico non ha mai smesso di farsi sentire nelle piazze. E la risposta è stata brutale. Secondo le organizzazioni per i diritti umani del paese il bilancio delle repressione delle manifestazioni è stato finora di almeno 133 morti. Centinaia di persone sono state arrestate, compresi una ventina di giornalisti. E in carcere ci sono finiti anche alcuni stranieri, tra cui la 30enne italiana Alessia Piperno, in vacanza nel paese e che aveva fatto alcuni post di sostegno alla causa delle donne iraniane.
Il 16 settembre Mahsa Amini, 22enne del Kurstistan iraniano, è morta in un carcere di Teheran dopo che era stata fermata dalla polizia perché non indossava correttamente il velo. Mentre le autorità statali hanno cercato di sminuire l’accaduto e ostacolare i funerali della ragazza, sempre più persone sono scese in piazza per ricordarla, prima nella sua terra e poi nel resto del paese. In poco tempo le manifestazioni sono diventate un grido collettivo contro il regime teocratico composto dalla Guida suprema Ali Khamenei e dal governo sciita del presidente Ebrahim Raisi. Tra le richieste quella di abolire la polizia religiosa.
Le donne hanno preso la testa delle proteste, attuando nelle piazze gesti eclatanti per il contesto iraniano: taglio dei capelli in pubblico e rimozione del velo, in alcuni casi gettandolo alle fiamme. In diverse città del paese sono stati presi d’assalto i commissariati di polizia, copie del Corano sono state dati alle fiamme e la folla ha gridato slogan come “morte al dittatore” e “via i mullah”. Negli ultimi giorni luogo cardine delle proteste sono diventate le università. Scontri violenti tra gli studenti e la polizia antisommossa si sono verificati alla Sharif di Teheran, uno degli istituti più prestigiosi del paese, dove centinaia di studenti sono stati di fatto presi in ostaggio dalle forze di sicurezza nel parcheggio coperto, mentre nei video si sente il rumore di spari. Scontri simili sono avvenuti in altri centri universitari, come a Tabriz e Kerman.
In generale la risposta del regime alle manifestazioni è stata brutale. Internet e i social network sono stati limitati in più occasioni per ostacolare l’organizzazione delle proteste, mentre le violenze degli agenti hanno lasciato sul terreno decine di morti. Le associazioni locali dei diritti umani come Iran Human Rights il 3 ottobre parlavano già di almeno 133 decessi. Tra questi c’è Hadis Najafi, la “ragazza della coda” divenuta un simbolo delle proteste nei primi giorni, ma anche donne minorenni come Nika Shakarami, il cui corpo risulta scomparso. E dopo un lungo silenzio il 3 ottobre la Guida suprema Ali Khamenei ha tenuto un discorso alla nazione, definendo un “tragico incidente” la morte di Mahsa Amini ma condannando le proteste, a suo dire “organizzate dagli Stati Uniti”.
In queste tre settimane di proteste la polizia ha preso in custodia un numero indefinito di persone, che potrebbe essere nell’ordine delle centinaia se non delle migliaia. Se inizialmente gli arresti hanno colpito i manifestanti, poi si sono allargati a personalità pubbliche che avevano dato il loro sostegno alle proteste. Tra questi il cantante Shervin Hajipour, autore di una delle canzoni divenute un simbolo delle proteste popolari.
A fine settembre sono poi cominciati gli arresti anche per i cittadini stranieri. Il ministero dell’intelligence iraniano ha annunciato di aver arrestato nove cittadini stranieri, provenienti da Germania, Olanda, Polonia, Francia e Svezia, con l’accusa di aver partecipato alle manifestazioni o di averle fomentate. In quell’occasione si è parlato anche di un cittadino italiano arrestato e con il passare delle ore è uscito il nome di Alessia Piperno, una 30enne romana che si trova in Iran da qualche mese.
Piperno sarebbe reclusa nel carcere di Evin, quello dei prigionieri politici. Non sono state formalizzate accuse ufficiali ma sembra che sia finita in una retata della polizia in un ostello dove si trovavano diversi stranieri in qualche modo legati alle manifestazioni. I familiari di Piperno sottolineano che la donna non è mai scesa in piazza in questi giorni e che anzi nelle prossime settimane aveva in programma di spostarsi in Pakistan per seguire un progetto di ricostruzione di un villaggio colpito dall’alluvione. La Farnesina sta seguendo la vicenda con l’obiettivo di far liberare al più presto la cittadina italiana, magari con un decreto di espulsione così da evitare eventuali processi e altre complicazioni.
Siamo anche su WhatsApp. Segui il canale ufficiale LifeGate per restare aggiornata, aggiornato sulle ultime notizie e sulle nostre attività.
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
Da ormai due mesi Israele impedisce l’ingresso di aiuti umanitari nella Striscia di Gaza. E le scorte di cibo e medicinali per oltre due milioni di persone palestinesi stanno finendo.
Per una giornata intera Spagna e Portogallo sono rimasti al buio per via di un blackout generalizzato. L’erogazione è stata ormai ripristinata.
Il 16 settembre è morta Mahsa Amini, una donna 22enne in custodia della polizia religiosa. E l’Iran è sceso in piazza per protestare contro il regime.
Tutta la penisola iberica, dal Portogallo al sud della Francia, è stata colpita da un blackout elettrico di cui non sono ancora note le cause.
Nell’aprile del 1975 i Khmer Rossi presero il controllo di Phnom Penh, instaurando uno dei regimi più violenti del Novecento.
Un raid ha causato 68 morti in un centro di detenzione per migranti dello Yemen. Gli Houthi accusano gli Usa, che nell’ultimo mese hanno condotto oltre 800 attacchi sul paese.
Besjana Guri e Olsi Nika hanno portato avanti la lotta contro nuove centrali idroelettriche sul fiume Vjosa, in Albania. L’hanno vinta e ora hanno ricevuto il Goldman environmental prize.
Il programma prevede il sostegno al alla popolazione di Gaza e Territori occupati attraverso l’Autorità nazionale palestinese e l’Unrwa.
Su Facebook sono circolati diversi post che incitavano alla violenza in Etiopia. Ora alcuni cittadini hanno denunciato la società Meta per la mancata moderazione.