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Quinto giorno di proteste in Iran: decine di morti e centinaia di arresti. La crisi economica la causa principale. Donald Trump getta benzina sul fuoco.
Da cinque giorni l’Iran è attraversato da un massiccia ondata di proteste, sfociata in violenti scontri tra manifestanti e forze dell’ordine. Dopo i tredici morti registrati tra sabato 30 dicembre e la giornata di Capodanno, nella notte del 2 gennaio altre nove persone sono state uccise, come confermato dall’Associated Press (che cita la televisione di stato di Teheran).
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La popolazione iraniana è scesa in piazza in numerose città della repubblica islamica. Le situazioni più tese sono state registrate nel centro della capitale, ma anche a Qahdarijan, ad Arak e a Doroud. Numerosi i casi di edifici pubblici dati alle fiamme, così come gli assalti a centri religiosi, banche, veicoli della polizia o alle sedi del Bassidj (la milizia islamica governativa). Una situazione estremamente tesa, dunque, come non la si registrava dal giugno del 2009, ovvero dai tempi della rielezione contestata dell’ex presidente Mahmoud Ahmadinejad.
Tuttavia – sebbene possa sembrare paradossale visto il numero di vittime e le centinaia di arresti effettuati su tutto il territorio nazionale – l’uso della repressione da parte del governo del presidente Hassan Rohani è stato relativamente limitato (benché le ali più conservatrici della politica iraniana chiedano al governo di essere irremovibile). Le autorità di Teheran sembrano infatti voler tentare di mantenere una posizione equilibrata, anche di fronte alle affermazioni del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che ha soffiato a più riprese sul fuoco parlano di “regimi oppressori che non possono durare per sempre”.
A tentare di calmare le acque è stato lo stesso Rohani. In un discorso pronunciato domenica sera alla televisione pubblica, il leader moderato ha da una parte condannato “le violenze e ogni distruzione di beni pubblici”, ma dall’altro ha spiegato che “il popolo ha diritto a manifestare”. Promettendo anche la creazione di “uno spazio in un cui i sostenitori della rivoluzione e i cittadini possano esprimere le loro preoccupazioni quotidiane”.
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Il principale motore che ha alimentato le tensioni è legato infatti alla crisi economica che attraversa la nazione asiatica. Arrivato al potere nel giugno del 2013 e rieletto nel maggio del 2017 per un secondo mandato, Rohani ha puntato tutto proprio sul miglioramento del livello di vita della popolazione. La firma dell’accordo sul programma nucleare con Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Russia, Cina e Germania (luglio 2015) e il superamento parziale delle sanzioni economiche (gennaio 2016) avevano suscitato in Iran la diffusa speranza di una ripresa rapida.
Alcuni risultati sono stati centrati: l’inflazione, ad esempio, è scesa al 10 per cento (contro il 40 degli anni pre-Rohani). Il problema più grave ancora irrisolto rimane quello della disoccupazione, soprattutto quella giovanile. Così, da mesi pensionati, operai e insegnanti – di fronte alle difficoltà dello stato nel pagare gli stipendi – sono scesi in piazza.
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A ciò si aggiunge il fallimento di decine di istituti finanziari controversi, la maggior parte dei quali fu creata nel corso della presidenza di Ahmadinejad: migliaia di risparmiatori protestano regolarmente di fronte alle sedi delle istituzioni governative per chiedere indietro il loro denaro. Il governo fatica inoltre ad attirare investimenti esteri, soprattutto dopo l’elezione di Donald Trump, che ha affermato di non voler “certificare” l’intesa sul nucleare, minacciando di uscirne.
Iran is failing at every level despite the terrible deal made with them by the Obama Administration. The great Iranian people have been repressed for many years. They are hungry for food & for freedom. Along with human rights, the wealth of Iran is being looted. TIME FOR CHANGE!
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) 1 gennaio 2018
“L’Iran ha fallito a tutti i livelli – ha dichiarato il miliardario americano – malgrado il pessimo accordo siglato dall’amministrazione Obama. Il grande popolo iraniano ha fame di cibo e di libertà. La ricchezza è invece confiscata, come i diritti dell’uomo”. Affermazioni alle quali ha risposto duramente il generale Amir Hatami, ministro della Difesa di Teheran. Il militare, secondo quanto riferito dall’agenzia Fars, ha parlato infatti di “nemici dell’Iran che tentano di rendere instabile il paese”.
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