Israele. Il premier Netanyahu ha sospeso la riforma della giustizia

La crisi politica sempre più profonda in Israele ha portato Netanyhau a sospendere la riforma della giustizia. Se ne riparlerà in estate.

  • Con la riforma della giustizia il governo di Israele vuole rafforzare i propri poteri. Nei giorni scorsi è stato approvato un primo pacchetto.
  • Da settimane larghe fette di popolazione protestano contro il progetto di legge e anche membri del governo si sono defilati.
  • Alla fine il premier Netanyahu si è convinto a tornare sui propri passi e la riforma è stata sospesa.

Sono ore molto calde in Israele per quanto riguarda la riforma della giustizia. Da settimane larghe fette di popolazione scendono in piazza contro il progetto di legge con cui il governo Netanyahu vuole limitare i poteri della Corte suprema. Nei giorni scorsi è stato approvato un primo pacchetto che rafforza la figura del premier, mentre il resto del testo è ancora in discussione.

Alcuni membri del governo hanno iniziato a schierarsi contro la riforma: è il caso del ministro della Difesa Yoav Gallant, che il 26 marzo è stato licenziato per questa presa di posizione. Questo non ha fatto altro che far salire la tensione nelle piazze, mentre anche il presidente Isaac Herzog ha intimato di bloccare l’iter legislativo. E il premier Netanyahu ora si è convinto per il dietrofront: la riforma è sospesa fino all’estate.

La riforma della giustizia di Israele

La riforma della giustizia è uno dei pilastri del programma politico del nuovo governo Netanyahu, insediatosi a fine 2022 e considerato l’esecutivo più a destra nella storia del paese.

Con la nuova riforma della giustizia il governo Netanyahu vuole limitare il potere dei giudici supremi, in un paese dove il parlamento ha una sola camera, non esiste una costituzione vera e propria e dunque la Corte suprema ha un ruolo di vigilanza sull’operato del governo. In particolare, il testo prevede un innalzamento della quota di membri eletti direttamente dal governo della commissione incaricata di nominare i giudici della Corte suprema. Oggi sono quattro su nove, quindi la minoranza, l’obiettivo è arrivare a otto su 11. La riforma decreta poi la cancellazione della clausola di ragionevolezza, quel potere di veto dei giudici supremi sulle leggi dell’esecutivo. Infine si vuole attribuire al parlamento monocamerale il potere di bloccare le sentenze della Corte, dando così ai deputati, dunque alla maggioranza che esprime il governo, l’ultima parola sui giudici.

Nei giorni scorsi la Knesset, il parlamento monocamerale israeliano, ha approvato ufficialmente una prima parte della riforma. Con questo pacchetto, passato con 61 voti a favore e 47 contrari, la Corte Suprema non può più dichiarare inadatto un primo ministro. Il provvedimento, come d’altronde tutta la riforma della giustizia in discussione, appare come una legge ad personam per tutelare il premier Netanyahu, che è sotto processo per frode, corruzione e abuso di potere perché durante il suo mandato precedente avrebbe approvato leggi ad hoc per favorire alcune società a lui vicine.

Il licenziamento del ministro

Sin dalla sua presentazione nello scorso gennaio, il progetto di riforma della giustizia ha subito diverse critiche. L’Onu ha a più riprese chiesto di bloccare l’iter legislativo, mentre con il passare del tempo si sono schierati contro il testo anche decine di militari, un fatto molto raro dal momento che in Israele c’è solitamente uno stretto legame tra l’esercito e il governo.

Ma la vera svolta in una crisi politica già profonda si è avuta nel momento in cui alcuni membri del governo hanno deciso di prendere posizione contro la riforma. Il ministro della Difesa Yoav Gallant nella giornata del 25 marzo ha parlato in televisione contestando esplicitamente la riforma, parlando di minaccia alla sicurezza nazionale in caso di approvazione e chiedendo di bloccare l’iter legislativo. Anche Yuli Edelstein, appartenente al partito di governo Likud e presidente della commissione Esteri e Difesa del parlamento, ha chiesto una pausa nella discussione della riforma. Mentre alcuni alti rappresentanti del ministero delle Finanze hanno messo in guardia dai rischi economici che deriverebbero dall’approvazione delle riforma, visto che da mesi il paese è paralizzato da proteste e scioperi che rischiano di aggravarsi in caso di okey definitivo al pacchetto legislativo. 

Intanto anche il console generale di Israele a New York, Asaf Zamir, si è dimesso in protesta contro la riforma del governo Netanyahu. E la quantità di gente in piazza a manifestare contro il testo e l’approvazione della sua prima parte è cresciuta ulteriormente: nella giornata di sabato, il dodicesimo consecutivo di proteste, sono stati oltre 600mila i cittadini nelle strade contro il governo.

Il dietrfront di Netanyahu

Con una fronda di oppositori alla riforma della giustizia sempre più massiccia e che include anche membri del governo, il premier Netanyahu ha deciso di usare il pugno duro. E nella giornata del 26 marzo ha licenziato il ministro della Difesa Yoav Gallant

La decisione ha causato molto sdegno nel paese e ha fatto tornare in piazza centinaia di migliaia di persone in tutte le città. A Gerusalemme ci sono stati scontri davanti alla residenza del premier, mentre tensioni si sono verificate anche a Tel Aviv, dove i manifestanti sono stati in strada per tutta la notte ed è stata bloccata l’autostrada Ayalon. Arnon Bar-David, segretario dell’importante sindacato Histadrut, ha annunciato uno sciopero storico per le prossime ore con cui paralizzare completamente il paese. Il personale dell’aeroporto internazionale Ben Gurion di Tel Aviv è già in sciopero e le partenze sono tutte bloccate.

La situazione critica in Israele ha suscitato anche reazioni internazionali. Gli Stati Uniti, storico alleato israeliano, hanno chiesto a Netanyahu di ascoltare le istanze della popolazione e trovare un compromesso nella riforma. Il presidente israeliano Isaac Herzog, che già nelle scorse settimane aveva avanzato le sue perplessità sul progetto di legge, ha intimato di bloccare l’iter legislativo dal momento che il pacchetto “indebolisce il sistema giudiziario”. Nel corso del week end il premier Netanyahu ha iniziato vacillare pensando di ritirare, o quanto meno sospendere, il progetto di legge. Itamar Ben Gvir, ministro della Sicurezza Nazionale appartenente al partito di estrema destra Otzma Yehudit, ha dichiarato che avrebbe fatto immediatamente cadere l’esecutivo in caso di blocco alla riforma della giustizia. Ma questo non ha frenato Netanyahu, che lunedì sera ha annunciato la sospensione fino all’estate dell’iter legislativo per l’approvazione della riforma. Aggiungendo però di non essere intenzionato a cedere sull’argomento e che la presa di tempo serve per cercare di trovare un dialogo con le opposizioni e i manifestanti. Di fatto, un modo per calmare le acque nel mezzo di una tempesta politica.

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