
La misura è stata annunciata il 4 giugno dal presidente Trump. Per l’Onu è un provvedimento discriminatorio e che suscita preoccupazioni.
Sono almeno 180 le persone rimaste ferite nei violenti scontri che hanno infiammato Gerusalemme la sera del 7 maggio, a pochi giorni dalla fine del Ramadan.
Decine di migliaia di fedeli si sono radunati la sera del 7 maggio su quella che gli arabi chiamano “spianata delle moschee” a Gerusalemme, un luogo che gli ebrei conoscono invece col nome di “monte del tempio”. Erano lì per prendere parte all’ultima, grande preghiera del venerdì prima della fine del Ramadan, prevista per il 12 maggio. Ed è allora che sono esplose le tensioni fra i palestinesi e la polizia israeliana, che ha lanciato granate assordanti e ha sparato ai manifestanti con proiettili di gomma. Il bilancio, secondo l’agenzia di stampa Ansa, è di oltre 180 feriti, di cui almeno 175 civili e 6 poliziotti israeliani.
Si tratta di uno dei più sanguinosi confronti degli ultimi anni a Gerusalemme est, parte integrante del territorio nazionale israeliano, ma considerata dai palestinesi futura capitale del loro stato. I disordini hanno coinvolto anche il vicino quartiere di Sheikh Jarrah, dove da giorni le famiglie palestinesi protestano contro possibili sfratti decretati dalle autorità israeliane.
Non hanno tardato ad arrivare condanne da parte della comunità internazionale, in particolare da Egitto e Stati Uniti. “Negli ultimi giorni le tensioni e le violenze nella Cisgiordania occupata, in particolare a Gerusalemme est, sono aumentate pericolosamente”, ha dichiarato in una nota il portavoce del servizio di azione esterna dell’Unione europea, l’ufficio dell’alto rappresentante Josep Borrell.
“La scorsa notte si sono verificati gravi scontri sulla spianata delle moschee che hanno causato molti feriti. La violenza e l’istigazione alla violenza sono inaccettabili e gli autori di ogni parte devono essere ritenuti responsabili”. L’Ue invita le autorità ad agire con urgenza per evitare ulteriori spargimenti di sangue.
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