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Jagari Chanda, celebrità del rock zambiano degli anni Settanta svanita nell’ombra di una miniera, torna sul palco grazie al documentario di un regista italiano.
Negli anni Settanta il gruppo rock dei Witch, trascinato dall’istrionico Emmanuel Jagari Chanda, attirava folle oceaniche nei concerti tenuti in Zambia. Cinque album di successo e centinaia di spettacoli nel Sud del continente, lo resero una leggenda della musica africana.
Un sogno durato appena una decade, terminato con la crisi economica del paese e la diffusione dell’aids, che uccise tutti i membri della band. Tutti tranne Jagari, che però fu costretto ad abbandare la musica per mantenere la famiglia, insegnando nelle scuole o scavando nelle miniere alla ricerca di pietre preziose.
Trent’anni dopo, i Witch non sono più un ricordo nostalgico di gioventù. Il 67enne Jagari è tornato a cantare e a saltare, con la stessa energia di un tempo ma con nuovi e più giovani compagni di avventura, per calcare i palchi di Stati Uniti ed Europa.
Merito di un gruppo di musicofili appassionati di zamrock – il genere reso popolare dai Witch che unisce rock psichedelico, funk e ritmi tradizionali zambiani – e di etichette discografiche che lo hanno riportato in auge. Ma soprattutto del regista milanese Gio Arlotta, che ha girato il documentario Witch: We intend to cause havoc! sulla storia di Chanda e nel frattempo è diventato suo amico e manager.
[vimeo url=”https://vimeo.com/219856978″]Video Cano Cristales[/vimeo]
La pellicola, proiettata in Italia alla rassegna Zona5, va alla riscoperta di un cantante dimenticato similmente a Sugar Man e di un universo musicale sommerso ai più, che tuttavia reinterpreta suoni “occidentali” a noi familiari come quelli di Jimi Hendrix, James Brown e Rolling Stones.
Jagari, appellativo in realtà affibbiato a Emmanuel Chanda per la sua presenza scenica simile a quella di Mick Jagger, racconta la propria vita da eterno artista. Anche quando si fa riprendere con la pala in mano e, a piedi nudi, scava con la speranza di svoltare la giornata, oppure mentre riattraversa i momenti più bui come l’arresto ingiusto per possesso inconsapevole di droga, seguito da un percorso di fede. “Una volta diventato musicista, resti sempre un musicista”, dice.
Quando lo Zambia ottiene l’indipendenza dalla Gran Bretagna, nel 1964, Jagari Chanda è appena tredicenne. Cresce con sei fratelli nel nord del paese, rinato sotto la guida gandhiana del presidente Kenneth Kaunda, che spinge l’industria mineraria favorendo l’ottimismo e l’esplosione di attività artistiche e creative.
Nel liceo multiculturale di Kitwe, frequentato anche da ragazzi provenienti dalla Tanzania, dal Malawi e dal Congo, l’interesse di Chanda per la musica si concretizza quando viene reclutato da altri studenti musicisti in cerca di un cantante, accompagnati da un produttore che lo conquista offrendogli del cibo.
Nel 1971 è il frontman dei Kingston Market, diventati The Mighty Witch e poi Witch, acronimo di We intend to cause havoc (intendiamo causare un bel caos). E i Witch, di fatto, causano davvero un caos musicale fino ai primi anni Ottanta, quando le tensioni politiche, il declino economico e la diffusione dell’hiv spengono (quasi) definitivamente il sogno.
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