Diritti umani

Jaya, la ragazza indiana che si dipinge di nero contro il razzismo

L’artista P.S. Jaya ha 26 anni, la stessa età di Rohit Vemula che si è ucciso lo scorso gennaio. Lo studente, nato da madre Dalit (fuoricasta o dispregiativamente “intoccabile”), soffriva per le discriminazioni subite all’università di Hyderabad, nello stato indiano dell’Andhra Pradesh.   Jaya, artista di Kochi nel Kerala, pur non essendo Dalit, si è

L’artista P.S. Jaya ha 26 anni, la stessa età di Rohit Vemula che si è ucciso lo scorso gennaio. Lo studente, nato da madre Dalit (fuoricasta o dispregiativamente “intoccabile”), soffriva per le discriminazioni subite all’università di Hyderabad, nello stato indiano dell’Andhra Pradesh.

 

Jaya, artista di Kochi nel Kerala, pur non essendo Dalit, si è talmente identificata nel dolore di Rohit da realizzare una performance itinerante che il 26 maggio culminerà in un raduno di scrittori, creativi e attivisti per i diritti umani.

 

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Un bambino Dalit in una tendopoli di Faridabad, India (Daniel Berehulak/Getty Images)

Di color kajal nero

Per oltre cento giorni la ragazza si è dipinta di kajal nero, documentando le reazioni delle persone che incontrava ovunque andasse, sull’autobus, al supermercato, per strada. Alcuni l’hanno insultata, altri l’hanno giudicata folle o strana. Secondo Jaya, in India il razzismo colpisce soprattutto chi ha la pelle più scura. Lo dimostrerebbero le cronache locali, che negli ultimi anni hanno riportato vari abusi contro i tribali, i Dalit e gli originari dell’Africa subsahariana.

 

Nell’ottobre 2014, dopo alcuni attacchi contro degli immigrati africani a Delhi, un commentatore indiano del Daily Mail Online scriveva: “Si può riscontrare che nel razzismo dei bianchi contro i neri ci sia una chiara differenza, una storia precedente di schiavitù e colonialismo. Ma il casuale razzismo indiano è del tutto sconcertante. Come può una persona nera sentirsi superiore a un’altra persona nera?”.

 

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Proteste studentesche e uso degli idranti da parte della polizia a Delhi dopo il suicidio di Rohit Vemula © Atul Yadav

La casta è legata al colore della pelle

In realtà, si tratta di una questione complessa, radicata nella mentalità e nel sistema castale indiano: una rigida gerarchia ereditaria non più legale dal 1950, ma che de facto determina ancora status e poteri. Spiega Jaya alla Bbc: “La casta è strettamente legata al colore e qualunque sfumatura di nero non è benvenuta nella società indiana”. La ragazza, che ha conseguito un master in belle arti, continua: “Perché a Rohit Vemula, mio coetaneo, sono stati negati i privilegi di cui io ho goduto?”

 

Studente brillante, ma con una storia famigliare drammatica, Rohit poteva frequentare il dottorato in sociologia solamente grazie a una borsa di studio di 25mila rupie (258 euro). Tuttavia, per aver preso parte alle attività di un sindacato studentesco Dalit, questo sostegno economico era stato negato a lui e ad altri quattro colleghi. Invano, Rohit aveva lanciato appelli alle autorità del campus, sentendosi sempre più solo e inascoltato. Il suo suicidio, avvenuto il 17 gennaio, ha acceso proteste in tutta l’India e nelle principali comunità Dalit all’estero, come quelle di Londra, Boston, San Francisco, Johannesburg.

 

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Rohit Vemula, ritratto dello studente Dalit che si è suicidato a Hyderabad, India

Chi era Rohit Vemula

Su Rohit sono piovute varie accuse, mai provate, prima e dopo la sua morte: che avesse aggredito un giovane dell’ala studentesca del Bjp, partito nazionalista indù al potere, che non fosse del tutto Dalit e che non dovesse quindi rientrare nel sistema di assegnazione delle borse di studio. Alcuni amici hanno cercato di fare chiarezza. Rohit è nato da una madre Dalit, adottata da una signora benestante che l’avrebbe sempre trattata come una serva e data in sposa, a soli 14 anni, a un uomo violento. Per sfuggire agli abusi del marito, Radhika dovette tornare con Rohit e i suoi due fratelli dalla madre “padrona”, che continuò a considerare lei e i nipoti al suo servizio.

 

Radhika, che a 49 anni non si era mai allontanata dal piccolo villaggio di Guntur, dove ha cresciuto Rohit, oggi viaggia attraverso l’India, chiedendo giustizia per il figlio: “Hanno tentato diverse volte di farmi tacere, ma io ho respinto ogni pressione […] Mio figlio è morto per abuso di potere e per la congiura di alcuni individui potenti. Adesso, almeno, dovrebbero revocare la sospensione degli altri quattro studenti”.

 

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Radhika, madre di Rohit durante un sit-in per il figlio e per i diritti dei Dalit

La protesta di Jaya

Le discriminazioni contro gli studenti Dalit sono molto diffuse in India. Times of India riporta che nell’ultimo decennio altri otto giovani si sono uccisi nell’università di Hyderabad, frequentata da Rohit. Il blog Death of Merit denuncia almeno 18 suicidi, sempre fra Dalit, in importanti istituti educativi dal 2007 al 2011. Competizione estrema con gli studenti delle caste alte, disprezzo da parte di alcuni insegnanti, scritte offensive sui muri, insulti e altri atti di bullismo possono generare uno stress insopportabile.

 

“Come artista – insiste Jaya – ho usato il mio corpo come mezzo per veicolare i miei pensieri. Il suicidio di Rohit è la prova evidente che i Dalit continuano a essere in pericolo nella nostra società […] L’intera questione dell’intoccabilità sta assumendo nuove dimensioni, gli individui sono tuttora discriminati per la casta, il colore e le loro convinzioni”. Bose Krishnamachari, acclamato pittore e presidente della Biennale d’Arte di Kochi, anche lui interpellato dalla Bbc, è d’accordo: “È arrivato il momento per gli artisti di assumere un ruolo energico nel sensibilizzare una società così colma di pregiudizi”.

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