Diritti umani

Khaled Khalifa, parole dissidenti dalla Siria

Lo scrittore Khaled Khalifa, protagonista di un ciclo di incontri in tutta Italia, dà voce alle speranze e al dramma del popolo siriano.

“Quando sono in Siria la speranza non mi abbandona mai. È quando esco, per venire in Europa o negli Stati Uniti, che sento di perderla”, sono parole di Khaled Khalifa scrittore e intellettuale siriano intervenuto all’università La Sapienza di Roma nell’ambito di un ciclo di appuntamenti intitolato Parole dissidenti, che lo ha visto protagonista da Venezia a Napoli e che terminerà con altri incontri a Firenze e a Milano. In un’aula insolitamente strapiena di gente, ad ascoltare l’autore del romanzo Elogio dell’Odio (pubblicato in Italia da Bompiani), sulle violente repressioni da parte del regime siriano negli anni Ottanta, sono intervenuti studenti, professori universitari, attivisti e semplici uditori.

 

“La rivoluzione siriana vincerà”

“La rivoluzione siriana alla fine vincerà per forza – ha sostenuto lo scrittore – perché altrimenti vorrà dire che il governo di Damasco avrà massacrato l’intera popolazione del mio paese”. Senza troppi giri di parole, Khalifa ha puntato il dito contro la comunità internazionale e l’Europa che “hanno abbandonato i siriani al loro destino” consentendo al conflitto che divora uno dei paesi più ricchi di cultura del Medio Oriente, di protrarsi per cinque lunghi anni.  

 

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Rifugiati siriani © Getty Images

Una causa giusta ha bisogno di una letteratura all’altezza

Nella fase storica cominciata con le cosiddette primavere arabe, l’intellettuale, secondo Khalifa, “non può e non deve tradire l’altissimo prezzo di sangue pagato dal popolo” e deve impegnarsi ancora più a fondo nell’affinare la sua prosa perché, ha spiegato, “una causa giusta può perdere se raccontata da una letteratura mediocre”. Già in passato oggetto di repressione da parte delle autorità locali, Khalifa racconta come la sua scelta di rimanere, nonostante la guerra non sia in realtà una scelta eroica ma frutto di un sentimento che definisce naturale e inevitabile: “La Siria è la mia casa, la mia patria. Non voglio dovermene cercare un’altra. Ho molti amici che non hanno retto alle pressioni del regime. Scrittori e intellettuali raffinati da cui sentivo che avrei avuto sempre qualcosa da imparare. Tra coloro che hanno deciso di partire, pochi hanno continuato a scrivere. Credo sia stata una grande perdita, e che la loro scelta si sia rivelata sbagliata”.  

 

 

Riguardo alla guerra in corso, questo scrittore dai tratti bonari e con un grande senso dell’umorismo tiene a sottolineare che “in Siria all’inizio c’è stata una rivoluzione pacifica, non una guerra civile. Una rivoluzione soppressa dal regime dittatoriale di Bashar al Assad e di cui per oltre un anno non si è parlato. Finché questa rivoluzione è diventata una guerra di altri sul territorio siriano”.

Durante l’incontro, durato più di due ore e protrattosi in seguito alle numerose domande del pubblico, non sono mancati accenni ai recenti attentati di Bruxelles e Parigi, dove – ha precisato Khalifa – “è accaduto quello che succede tutti i giorni in Siria, in modo assai più grave”. Un’affermazione forte, che non giustifica il terrorismo, ma esorta a porsi della domande, come chi ha fondato l’Isis, chi lo sostiene e chi gli ha fornito i mezzi per diventare quello che è diventato. “Se anche l’Europa non comincerà a porsi seriamente queste semplici domande, credo che il futuro sarà buio. Per tutti”.

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