Kumite: il combattimento del karate

Sono stati prodotti numerosi film dedicati al karate, risse e vendette consumate a suon di colpi “della gru”, improbabili ometti urlanti con fasce colorate sulla fronte e avvolti in bizzarri kimono dorati.

Il Dojo Kun predica infatti l’autocontrollo e l’astensione dalla
violenza. Al kumite libero, quello in cui i contendenti possono
attaccare e difendersi senza dichiarare i colpi che stanno per
portare, si giunge solo dopo diversi anni di pratica continua,
inoltre si sostiene sempre in presenza del maestro.

Per l’estrema pericolosità dei colpi, il kumite dello
Shotokan prevede il controllo delle tecniche, cioè non
è permesso colpire l’avversario con la massima potenza ma
occorre bloccare la tecnica nel momento stesso del contatto.

L’impegno profuso, la concentrazione dimostrata e l’esecuzione
perfetta delle tecniche “definitive” sono le discriminanti valutate
nelle gare per decretare il vincitore. Il kumite, nella piena
osservanza dei precetti del Dojo Kun, proibisce l’uso
indiscriminato della violenza e richiede che si manifesti il
proprio rispetto nei confronti dell’opponente sia con l’inchino
rituale, che si effettua all’inizio e alla fine dello scontro, sia
impegnandosi al massimo delle proprie possibilità qualsiasi
sia il livello dell’avversario.

Al di là delle tecniche veloci e potenti, uno degli aspetti
che più colpisce chi osserva un incontro di karate è
il kiai, l’urlo che accompagna i colpi decisivi. Molti suppongono
che il kiai sia un urlo emesso per spaventare l’avversario, in
realtà si tratta di un’emissione di suoni che deriva dalla
contrazione istantanea dei muscoli di tutto il corpo,
attività involontaria che si effettua al momento di portare
la tecnica definitiva, ovvero quel colpo che, se raggiunge
l’avversario, conclude l’incontro.

Va ricordato che nel karate non si combatte per sconfiggere
l’avversario o per dimostrarsi superiori a lui, ma solo per
migliorare e mettere alla prova se stessi. Nel karate ciò
che conta non è vincere, ma l’idea di non perdere, e chi
combatte con rispetto, impegnandosi e non lasciandosi prendere
dalla furia agonistica e dalla rabbia, anche se sarà
sconfitto non sarà mai considerato perdente.

Daniele Cerra

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