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Lo stress e la rabbia fanno ingrassare, lo si sospettava da dieci anni. Ma solo recentemente i risultati di alcune ricerche hanno chiarito il perché.
Lo stress fa ingrassare, lo si sospettava da dieci anni. Ma solo recentemente i risultati di alcune ricerche hanno contribuito a chiarire il perché. Ecco come si è evoluta negli anni la conoscenza del legame tra stress, alimentazione e obesità.
Gli esperti riuniti a Parigi per l’ottavo congresso internazionale sull’obesità nel 1998 avvertivano: l’obesità classica degli uomini, “a mela”, con il grasso che si deposita nell’addome, è più pericolosa di quella “a pera”, tipica delle donne. Giuliano Enzi, specialista di malattie del metabolismo all’università di Padova, spiegava che il grasso dell’addome maschile è instabile e tende a liberare acidi grassi nel sangue, che arrivando al fegato si trasformano in trigliceridi – che predispongono alle malattie cardiovascolari, l’angina e l’infarto. Il grasso delle donne è invece più stabile e non libera acidi grassi. Chi è stressato tende a mangiare di più perché il cervello stimola la produzione di sostanze che condizionano la regolazione del senso di fame e di sazietà ma non solo: gli ormoni dello stress regolano la distribuzione del grasso favorendo i depositi di adipe nell’addome. Una conferma? Le donne in carriera tendono a un’obesità “maschile”. A mela.
Contromisure: nei periodi di stress, evitare di modificare i comportamenti alimentari.
Non solo perché può indurre a mangiare di più, ma soprattutto perché fa assimilare di più quello che si mangia. L’effetto, causato da un ormone, può innescare una reazione a catena. I grassi che si accumulano per lo stress si dispongono, infatti, proprio dove sono più pericolosi: intorno alla vita, conferendo quella forma a mela (obesità centrale) legata a ipertensione, diabete, malattie cardiovascolari. In particolare sono gli studi di Zofia Zukowska della Georgetown University di Washington Dc ad aver approfondito un fenomeno già in parte conosciuto, ma che ora è schedato con nome e cognome: il colpevole, secondo la ricercatrice, è l’ormone “neuropeptide Y” (NPY) che, in condizioni di stress, fa accumularemaggiori quantità di grasso alle cellule del tessuto adiposo.
Contromisure: “forzarsi” al rilassamento – yoga, vacanze, massaggi… Ora c’è un motivo in più: non solo benefici immediati, ma soprattutto a lungo termine.
Come se non bastassero le ripercussioni che la crisi dell’autunno 2008 ha avuto sulle tasche, adesso arrivano anche quelle… sulla pancia. L’alimentazione meno costosa va a discapito della qualità e spendere meno può portare a ingrassare, ha osservato il presidente dell’Associazione italiana di dietetica e nutrizione clinica (Adi), Giuseppe Fatati, in occasione dell’Obesity Day il 10 ottobre 2008 a Roma. È paradossale: più i prodotti sono economici, più contengono ingredienti di bassa qualità, nutrizionalmente carenti e qualitativamente poveri. Quindi nei carrelli della spesa impoveriti dalla crisi diminuiscono di pari passo i più preziosi alimenti tipici della dieta mediterranea: calano i consumi di frutta, verdura e olio d’oliva e aumentano i cibi confezionati, più ricchi di grassi e
zuccheri raffinati.
Contromisure: dedicare nuovo budget alle spese alimentari sottraendolo a quelle voluttuarie. Oggi spendiamo per l’alimentazione 1/5 di quanto spendevamo nel dopoguerra. E il 30 per cento di ciò che compriamo viene buttato.
Iperproduttività sul lavoro, quarter, target, le liti col vicino, le questioni di soldi e la causa civile che si trascina da anni sono motivi “moderni” di stress. Ma in realtà, fa notare l’immunologo Attilio Speciani su Eurosalus.com, il nostro organismo percepisce i sentimenti di ostilità e rabbia nella sua parte “primitiva” e quindi continua ad agire con la stessa modalità difensiva acquisita nel corso di quasi un milione di anni: se c’è pericolo, riduce il metabolismo e mette da parte grasso di scorta. Così le persone incapaci di trovare equilibrio, quindi sottoposte ad uno stress cronico, ingrassano con facilità.
Un lavoro pubblicato sull’American Journal of Epidemiology ha valutato nel corso di quasi 20 anni le modifiche dell’indice di
massa corporea (BMI) in relazione alle caratteristiche di ostilità o di rabbia. Per le donne, la condizione di ostilità era fin dall’inizio connessa a un aumento del peso e del BMI, mentre per gli uomini questa correlazione, oltre ad essere vera all’inizio dell’osservazione, diventava sempre più precisa nel corso degli anni. Ovvero, gli uomini tendono a mantenere gli effetti della rabbia in modo incrementale e fanno aumentare i suoi danni anno dopo anno, forse per struttura educativa, forse perché meno capaci di riportare le proprie emozioni verso il riequilibrio e verso il superamento dei problemi. Come invece le donne, evidentemente, sanno fare.
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