Cooperazione internazionale

Libia. Verso un intervento militare, tra migranti e petrolio

I venti di un nuovo intervento militare soffiano tra l’Europa e le coste nordafricane. Su richiesta del governo libico, i paesi occidentali – Francia, Gran Bretagna e Italia in testa – potrebbero decidere di dispiegare dei contingenti a protezione di siti sensibili del paese, in particolare i pozzi petroliferi, minacciati dal sedicente Stato Islamico (Isis).  

I venti di un nuovo intervento militare soffiano tra l’Europa e le coste nordafricane. Su richiesta del governo libico, i paesi occidentali – Francia, Gran Bretagna e Italia in testa – potrebbero decidere di dispiegare dei contingenti a protezione di siti sensibili del paese, in particolare i pozzi petroliferi, minacciati dal sedicente Stato Islamico (Isis).

 

Verso una missione in Libia

L’appello dell’esecutivo di Fayez al Sarraj è arrivato mentre ad Hannover, in Germania, era in corso una riunione tra Barack Obama, Angela Merkel, David Cameron, François Hollande e Matteo Renzi. Una richiesta che, di fatto, spiana la strada a una missione internazionale che potrebbe essere operativa nel giro di qualche settimana.

 

 

Cosa succede nel paese nordafricano

Il consiglio presidenziale di Serraj, in carica dal 30 marzo dopo lunghi mesi di “esilio” in Tunisia, è riuscito faticosamente a ottenere la fedeltà di numerosi gruppi armati, milizie e consigli cittadini che controllano gran parte del paese ma non ha ancora ricevuto il sostegno formale del parlamento di Tobruk, in Cirenaica. Un segnale che preoccupa la comunità internazionale, soprattutto per l’opposizione del generale Khalifa Haftar, sostenuto dall’Egitto di Abdel Fattah al Sisi e dalle monarchie del golfo Persico. Le mire e ambizioni dittatoriali dell’uomo forte della Cirenaica però, spaventano il governo di unità nazionale che rifiuta di riconoscergli il ruolo di capo delle forze armate libiche.

 

 

In attesa di un governo stabile in Libia

In questo scenario, in cui forze speciali europee ed americane sarebbero già attive da tempo al fianco delle truppe libiche in operazioni di contrasto ad Isis, ogni ipotesi di intervento militare ufficiale è considerata prematura senza un esecutivo legittimato e realmente rappresentativo delle numerose anime libiche. Lo stesso premier Matteo Renzi ha precisato che l’Italia sarà “sensibile alla richiesta di Tripoli”, nel momento in cui “sarà formalizzata”. Il prossimo passo è che la richiesta libica venga inoltrata alle Nazioni Unite e che il Consiglio di sicurezza si riunisca per dare il via libera all’operazione.

 

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Un pozzo petrolifero in fiamme in Libia, durante la guerra del 2011 ©John Moore/Getty Images

Che partita gioca l’Italia, tra migranti e petrolio

Precisando che i pozzi petroliferi minacciati dai terroristi non sono quelli dell’Eni, Renzi ha ricordato che “il dossier libico ci riguarda da vicino”. La partita di Roma si gioca su due fronti: le mire egiziane e francesi sulle riserve di greggio della Cirenaica non sono un mistero, ma il rischio è che lo scontro si estenda alla Tripolitania e ai suoi giacimenti, controllati dall’Eni.

 

La guerra del 2011 e l'avanzata dell'Isis, più recente, hanno contribuito all'ondata di migranti in arrivo dalla Libia ©Spencer Platt/Getty Images
La guerra del 2011 e l’avanzata dell’Isis, più recente, hanno contribuito all’ondata di migranti in arrivo dalla Libia ©Spencer Platt/Getty Images

 

Inoltre, l’intesa con il governo libico è fondamentale per ripristinare un controllo lungo le coste da cui partono i barconi carichi di migranti. “L’ipotesi di un accordo sarebbe molto importante”, ha spiegato Renzi, per cui l’intesa andrebbe strutturata “sul modello di quello fatto con la Tunisia”. Della gestione dei flussi migratori si è discusso anche al vertice di Hannover, dove è passata la proposta di utilizzare navi della Nato per contenere il flusso di migranti in arrivo dalla Libia. Chi pattuglia le coste dovrebbe essere impegnato in operazioni simili a quelle già in corso nel mar Egeo, dove le intercettazione di battelli degli scafisti si abbinano al contestato accordo per il rimpatrio dei profughi attraverso la Turchia.

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