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Siamo stati a Livigno per scoprire il territorio insieme al brand di abbigliamento outdoor Jack Wolfskin, e per parlare del nostro impatto quando andiamo in natura.
Mentre si sale verso uno dei punti più panoramici della valle, siamo circondati dalle montagne che sovrastano i pascoli storici. Eppi – Giuseppe, la guida alpina che ci accompagna e che vive qui da tutta la vita – ci spiega che da sempre questa è una vallata a sé. Siamo a Livigno, in provincia di Sondrio. Più precisamente, ci troviamo sul sentiero che dal passo Eira porta al Crap de la Paré. Da qui si apre la vista sulle Alpi, dal punto più alto della Valtellina fino alla Svizzera.
Livigno è infatti una lunga valle lombarda a quasi duemila metri di altitudine alle porte del Parco nazionale dello Stelvio. Sovrastata da due versanti che offrono cime, sentieri e grandi panorami, è solcata dall’Acqua granda, il nome con cui tutti chiamano il fiume Spöl. Fiume che ha una lunga storia perché nasce dal valico di Livigno della Forcola, si immette nello scenico lago di Livigno, un lago artificiale che produce energia elettrica pulita e rinnovabile per l’Italia e la Svizzera, per poi proseguire e immettersi nel Danubio, arrivando fino al mar Nero.
Ad accompagnarci è il brand di abbigliamento outdoor Jack Wolfskin con cui, oltre ad apprendere i nomi dei passi e delle cime di roccia sedimentaria che ci circondano, ci confrontiamo sull’impatto che ognuno di noi ha quando va in montagna, facendo sport o godendosi le bellezze della natura.
Guardandoci intorno, Eppi ci indica Trepalle, teoricamente è il paese più alto d’Europa ma non può ottenere il titolo perché nei fatti si tratta di una frazione del comune di Livigno. Motivo per cui lo scettro appartiene a Sestriere, in Valle d’Aosta. Trepalle, però, si tiene stretto un altro primato, quello della chiesa più alta, a 2.390 metri d’altitudine. Davanti a noi sfrecciano alcuni cuccioli di camoscio: qui c’è un’altissima concentrazione di ungulati, ovvero di stambecchi, camosci e cervi.
La camminata non è solo un modo per conoscere la zona e la natura che ci circonda, ma anche per ripulire i sentieri di montagna. Il comune di Livigno, infatti, incentiva il plogging, ovvero la raccolta dei rifiuti mentre si fa attività sportiva. Una pratica che ha origini svedesi (dall’unione delle parole plocka upp, raccogliere, e jogga, correre), che dal 2016 è diventata sempre più conosciuta, tanto che vengono organizzati veri e propri eventi oppure viene promossa in maniera individuale o da enti e organizzazioni locali.
Livigno lo fa fornendo tutto il necessario: chi vuole, può ritirare un kit contenente una “pinza” per raccogliere i rifiuti e un sacchetto, che poi verranno riconsegnati all’amministrazione comunale che si occuperà dello smaltimento. In cambio, chi aderisce all’iniziativa otterrà degli strumenti utili per godersi le passeggiate in alta quota e uno zaino. Livigno, nel 2021, è diventata la prima località montana italiana a inserire il plogging tra le attività turistiche offerte alle persone in visita nella valle. Ma non è la sola: un altro esempio di ente che promuove l’attività di plogging nel suo territorio dal 2018 è il Parco nazionale delle Cinque terre, che regolarmente organizza uscite gratuite con guide ambientali.
Quando andiamo in natura l’impatto che abbiamo non è solo legato a ciò che potremmo lasciare dietro di noi, ma anche a ciò che indossiamo, come è stato prodotto, e con quali materiali. I capi di abbigliamento outdoor, per essere performanti per l’acqua, il vento e il freddo, devono avere caratteristiche che per anni sono state garantite da materiali sintetici inquinanti (come i Pfc, i perfluorocarburi) o derivati dal petrolio. La tecnologia e la volontà delle aziende stanno però facendo sempre più passi avanti per utilizzare materiali naturali e avere meno impatto nel ciclo di produzione dei tessuti.
In questo viaggio abbiamo ascoltato la storia di Jack Wolfskin, marchio tedesco di abbigliamento e attrezzatura outdoor fondato nel 1981, che ha abbandonato i Pfc dal 2015 e ha creato una sua tecnologia di membrana idrorepellente, Texapore ecosphere, ad oggi prodotta interamente a partire da materiali riciclati e scarti di produzione (zero waste).
Dal 2019, infatti, per la creazione di questa membrana idrorepellente sono state recuperate 100 tonnellate di materiale tessile che altrimenti sarebbero state buttate, e che probabilmente sarebbero andate a impilarsi su quelle montagne di scarti tessili di cui tutti ormai abbiamo sentito parlare, o visto una fotografia, dall’Africa, all’India fino al Sudamerica. Queste 100 tonnellate hanno permesso di produrre una quantità di membrana che, se messa in fila, sarebbe lunga 3,4 milioni di metri: tre volte la lunghezza delle Alpi.
Per quanto riguarda lo spreco di materie, il vero passo avanti è stata la filosofia “textile to textile”, ovvero l’obiettivo raggiunto di creare la membrana solo da tessuti riciclati, o post consumo (pcr) o da scarti vergini di produzione, rendendo la produzione zero waste, e la prima membrana al mondo interamente riciclata. Normalmente, la cosa più semplice sarebbe riciclare bottiglie di plastica per creare il granulato, da cui si produce la membrana – fino al 2019 il brand ha riciclato 70 milioni di bottiglie di plastica – ma non andrebbe a risolvere il problema degli scarti.
Considerando infatti che al momento ci sono in circolo tanti indumenti da vestire le prossime sei generazioni e che questi sono destinati ad aumentare del 63 per cento entro il 2030, il settore dell’abbigliamento (che da solo rappresenta il 10 per cento delle emissioni globali di CO2) ha molto da fare. Prima di tutto, attuare soluzioni che vadano a evitare di immettere nuovi prodotti, garantendo la possibilità di riciclo o di uno smaltimento adeguato e, di conseguenza, rivoluzionare il settore per ridurre l’impatto che non è più sostenibile. A maggior ragione quando questi indumenti sono proprio ciò che ci permette di stare a contatto con la natura.
“Più conosciamo il mondo naturale, più lo amiamo e ce ne prendiamo cura”, è la filosofia di questo brand in particolare che abbiamo appena conosciuto, ma è la spinta che dovrebbe essere alla base di ogni attività.
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