
Dopo due mesi di tregua, l’aviazione israeliana ha lanciato pesanti raid sulla Striscia di Gaza. Tra gli oltre 400 morti ci sono anche bambini.
Motaz Azaiza in questi mesi ha documentato in presa diretta la distruzione causata da Israele nella Striscia di Gaza. Ora che ha lasciato il territorio, il suo lavoro non si è fermato.
Motaz Azaiza è stata finora la voce più importante della Striscia di Gaza nell’ambito dell’offensiva militare israeliana iniziata il 7 ottobre. Israele ha precluso l’ingresso ai giornalisti nel territorio palestinese e questo ha reso il lavoro di Azaiza e dei suoi colleghi giornalisti, fotogiornalisti e videomaker fondamentale, di fatto le uniche voci in grado di mostrare al mondo quello che stava succedendo.
122 giornalisti palestinesi sono morti in questi mesi, uccisi dal fuoco israeliano. Altri non hanno più riuscito a lavorare, per le difficoltà logistiche causate dai continui blackout e dagli sfollamenti. Motaz Azaiza è andato avanti con il suo lavoro finché ha potuto, pubblicando foto e video in presa diretta sul suo account Instagram da quasi 19 milioni di follower, perdendo amici e parenti e vivendo in prima persona la sofferenza causata da Israele nella Striscia di Gaza. Finché a fine gennaio, tra minacce di morte e altri rischi diretti per la sua incolumità, ha dovuto lasciare il territorio. Ma non ha lasciato la sua missione di sensibilizzazione e mobilitazione, che continua dal Qatar, dove si trova ora.
Motaz Azaiza è nato nel 1999 ed è cresciuto nella città di Deir al-Balah, nella parte centrale della Striscia di Gaza. Si è laureato in Traduzione inglese all’università di Al-Azhar, una di quelle bombardate in questi mesi da Israele, e ha iniziato a lavorare come fotografo freelance.
I lavori di Azaiza si focalizzavano sulla vita quotidiana della Striscia. La sua specializzazione erano i ritratti delle persone e le situazioni conviviali, il suo obiettivo era offrire uno spaccato differente di Gaza rispetto a quello a cui il mondo è abituato, uno spaccato fatto di pic nic in spiaggia, spesa al mercato, bambini che giocano. Una missione che ha portato avanti per diversi anni, collaborando sempre come fotografo con media locali e agenzie umanitarie, ultima tra tutte l’Unrwa, l’Agenzia dell’Onu per i profughi palestinesi.
Poi è arrivato il 7 ottobre 2023. L’attentato di Hamas in suolo israeliano, che ha causato 1.200 morti. L’offensiva israeliana sulla Striscia di Gaza, che dopo cinque mesi fa segnare un bilancio provvisorio di oltre 30mila palestinesi uccisi, di cui circa il 40 per cento bambini, più della metà degli edifici distrutti, l’85 per cento della popolazione sfollata e il 100 per cento dei gazawi in condizione di insicurezza alimentare. La popolazione di Gaza era abituata ai bombardamenti e al fuoco israeliano, che ogni anno a periodi regolari si fanno sentire in modo terribile. Lo stesso Azaiza anni fa era stato colpito da un proiettile israeliano. Stavolta però è stato diverso per tutti, compreso per lui.
Quando è iniziata l’offensiva israeliana sulla Striscia di Gaza, Azaiza aveva circa 25mila follower su Instagram. Oggi ne ha quasi 19 milioni e questo perché sin dal primo giorno di bombardamenti ha iniziato a documentare come un reporter di guerra quello che stava succedendo, sostituendosi di fatto ai media internazionali impossibilitati a entrare per le limitazione di Israele.
Con il suo drone, Azaiza ha mostrato al mondo la distruzione causata dai bombardamenti israeliani. Con la sua presenza sui luoghi dei bombardamenti, ha documentato la sofferenza del popolo palestinese e la crudeltà dell’offensiva israeliana, scegliendo di mostrare tutto senza filtri, compresi corpi di bambini e volti di neonati insaguinati. “La gente non si fida più dei media mainstream. I giornali che riferiscono a distanza sono così lontani dalla realtà. I social media hanno consentito alle persone di osservare lo svolgersi di un genocidio in tempo reale”, ha spiegato Azaiza al Guardian, criticando il racconto e il linguaggio di gran parte della stampa mondiale.
Mentre fuori dalla Striscia di Gaza si discuteva su parole come genocidio e si sprecavano articoli ed editoriali su cosa stesse realmente succedendo nel territorio palestinese e fino a che punto condannare le azioni israeliane, il lavoro di Azaia si è posto al di sopra di tutto, sbattendo in faccia a milioni di persone in tutto il mondo, senza filtri, il dramma in corso. E aggirando, di fatto, la censura posta da Israele alla stampa, quella fatta dal blocco all’ingresso dei media internazionali e ai continui blackout indotti, che hanno reso difficili se non impossibili le comunicazioni. A meno che non si fosse dotati di telefono satellitare, come nel caso di Azaiza. Per il suo fondamentale lavoro è stato eletto “Uomo dell’anno 2023” dalla nota rivista GQ. Mentre la rivista Time ha scelto una sua foto, raffigurante una bambina sotto le macerie causate da un bombardamento israeliano, tra le dieci più rappresentative dell’anno scorso.
In questi mesi di offensiva israeliana, Azaiza ha perso 122 colleghi giornalisti, uccisi sotto il fuoco israeliano. Oltre a questo, il fotoreporter palestinese ha perso 15 parenti tra cugini e zii. E ha iniziato a ricevere minacce di morte da numeri sconosciuti, mentre le bombe e il fuoco israeliano si facevano sempre più vicini a lui.
Di fronte a questa situazione, Azaiza ha dovuto scegliere se continuare il suo lavoro a Gaza, andando incontro a una morte sempre più probabile. O cogliere un’opportunità che gli si è presentata di evacuare. Ha scelto quest’ultima e con il primo volo della sua vita – un classico per la popolazione di Gaza, intrappolata in una sorta di prigione a cielo aperto a causa delle limitazioni allo spostamento imposte da Israele – è arrivato in Qatar, dove ormai vive da fine gennaio.
In queste ultime settimane il racconto della Striscia di Gaza ha perso il suo protagonista più importante, che però sta continuando il suo lavoro. Da una parte gli incontri diplomatici e le interviste con la stampa internazionale, necessarie per raccontare anche a parole il dramma che ha vissuto in questi mesi come abitante di Gaza e che il resto della popolazione sta continuando a vivere. Dall’altro la documentazione “a distanza” attraverso le sue fonti che ancora si trovano nel territorio palestinese e che attraverso il profilo da quasi 19 milioni di follower di Azaiza trovano un megafono necessario.
“Me ne sono andato dalla Striscia di Gaza con il cuore spezzato”, ha detto Azaiza al Guardian, che con la testa sente però di non essersene mai andato. “I fantasmi di Gaza mi seguono ovunque vada”.
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