Un gruppo di giocatori ha firmato una dichiarazione d’intenti per usare social network e altri canali per combattere il razzismo nello sport.
Perché la Nike è indagata per corruzione in Kenya
La Nike è indagata in Kenya dopo che tre funzionari della federazione di atletica del paese sono stati accusati di aver accettato tangenti.
La Nike, colosso produttore di accessori e abbigliamento sportivo, ha goduto per più di trent’anni senza concorrenza di un contratto con la federazione di atletica leggera del Kenya. Quando la compagnia cinese Li-Ning ha avanzato una proposta competitiva, però, la multinazionale americana si è fatta prendere dal panico. La Nike ha rinegoziato l’accordo e, secondo il nuovo contratto, ogni anno avrebbe dovuto pagare compensi da oltre un milione di dollari e bonus extra una tantum da 500mila dollari. Proprio quest’ultima somma è oggi oggetto dello scandalo: “Erano tangenti”, ha affermato un ex dipendente della federazione keniota.
La Nike indagata in Kenya: gli ufficiali si prendono i soldi
A beneficiarne sarebbero dovuti essere gli atleti del paese – molti dei quali corrono per uscire dalla povertà assoluta, come riportato dalla British association for fair trade shops. Secondo i dati raccolti dalNew York Times, invece, i funzionari della federazione keniana avrebbero usato il bonus da 500mila dollari della Nike per rimborsare la Li-Ning dei 200mila dollari già versati per assicurarsi il contratto. “Ci conosciamo da tanto. Possiamo parlare della situazione?”, ha scritto un dirigente Nike a un funzionario keniota dopo aver saputo che la federazione di atletica leggera voleva sospendere il contratto.
Le autorità di Nairobi al momento stanno indagando sulla scomparsa della somma di denaro. Da parte sua, la Nike ha negato ogni violazione, affermando di collaborare “con le autorità locali nella loro indagine”. Dichiarazione smentita dagli stessi investigatori.
Gli attivisti per i diritti umani chiedono agli Stati Uniti di condurre indagini sulla Nike
Il più grande attivista anticorruzione keniota,John Githongo, ha chiesto al governo americano di interessarsi alla vicenda e indagare sulla società con sede a Beaverton, nello stato americano dell’Oregon. “Ogni volta che leggo di bonus e compensi, per me è un allarme rosso. Sono termini usati per camuffare le tangenti”, ha concluso Githongo.
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