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In sala da oggi il documentario di Werner Herzog Nomad, in cammino con Bruce Chatwin, sulla vita di uno dei più affascinanti scrittori del Novecento.
In occasione del 30esimo anniversario dalla morte del celebre scrittore e avventuriero inglese Bruce Chatwin, il suo intimo amico Werner Herzog gli rende omaggio con il documentario Nomad, in cammino con Bruce Chatwin, in arrivo al cinema il 19, 20 e 21 ottobre con Feltrinelli Real Cinema e Wanted Cinema (nuove date disponibili su Wanted Zone).
Come in un cerchio che si chiude, il regista tedesco ripercorre i luoghi simbolo della letteratura di viaggio di Chatwin e incontra personaggi legati allo scrittore, tra cui la moglie Elizabeth, e portando sulle sue spalle il suo leggendario zaino. Non un oggetto qualunque, ma il compendio di tutta la vita dello scrittore vagabondo, che decise di regalarlo ad Herzog in punto di morte, come dono d’addio.
Con quello zaino Chatwin aveva viaggiato per migliaia di chilometri, molti dei quali percorsi rigorosamente a piedi, perché “Il mondo si rivela a chi lo attraversa a piedi”, come amava ripetere, sostenendo al tempo stesso che “Il moto è la migliore cura della malinconia”.
Bruce Chatwin era uno scrittore unico. Ha trasformato racconti mitici in viaggi della mente. Avevamo degli spiriti affini, lui come scrittore, io come regista. Volevo realizzare un film che non fosse una semplice biografia tradizionale ma che desse conto di una serie di incontri ispirati dai viaggi e dalle idee di Bruce. Personaggi stravaganti e selvaggi, bizzarri sognatori e grandi idee sulla natura dell’esistenza umana erano i temi da cui Chatwin era ossessionato e di questi ho cercato di raccontare.
Nomad, in cammino con Bruce Chatwin è un documentario visionario e toccante, che ripercorre gli incredibili viaggi intorno al mondo di Bruce Chatwin. Un peregrinare instancabile e un’indagine della natura umana, condotta quasi in modo ossessivo dallo scrittore. Profondamente affascinato dalle comunità ai margini, l’uomo amava mettersi sulle misteriose tracce lasciate dagli uomoni nel passato. Uno studio dettato da un interesse viscerale, che portava a galla anche gli effetti del brusco incontro di questi popoli con la cultura occidentale.
I bianchi, per adattare il mondo alla loro incerta visione del futuro, continuavano a cambiarlo; gli aborigeni dedicavano tutta la loro energia mentale a mantenerlo com’era prima.
Tutti interessi condivisi con l’amico e collaboratore Werner Herzog, che in questo documentario si è lasciato ispirare dalla comune passione per la vita nomade. Un mondo che, ciascuno con la propria arte, ha saputo immortalare e raccontare, evocando uno sconfinato e poetico mondo interiore.
Ad aprire il film è la voce stessa di Bruce Chatwin, estrapolata da una registrazione datata 1983, in cui lo scrittore legge un tratto del suo libro più celebre, In Patagonia (1977). È così che, partendo da un racconto ambientato nella sala da pranzo della nonna di Chatwin, in Inghilterra, ci mettiamo anche noi in cammino con lui, arrivando “davvero” in Patagonia. Da qui in poi sarà la voce narrante del regista Werner Herzog ad accompagnarci sulle orme dell’amico Bruce, in un viaggio insieme reale e metafisico, scandito da ricordi, immagini e video di archivio, interviste attuali e nuovi incontri.
Un viaggio tra le tante scoperte e riflessioni raccolte nei suoi libri, sulle usanze e la mitologia di tribù indigene, creature leggendarie e relitti suggestivi. Herzog ci apre la strada delle mitiche Vie dei canti australiane, fitte di antichi misteri della tradizione aborigena, e ci conduce a contemplare la bellezza delle Black Hills nel Galles, dove Chatwin amava sempre tornare, dopo aver vagabondato in lungo e in largo.
Dalla sua voce ascoltiamo brani dei suoi libri più celebri, osserviamo foto, cimeli e scopriamo aneddoti della vita e della carriera di entrambi. Come quello in cui Herzog rivela come lo zaino di Chatwin gli “salvò la vita” nel bel mezzo di una terribile tempesta sull’impervia cima del Cerro Torre, durante le riprese del film Grido di pietra (1991).
Percorsi fatti di tanti punti d’incontro che nel film diventano la storia di una visione artistica personale e condivisa, ma anche la storia di una profonda amicizia, fatta di stima e ammirazione reciproca. È in queste pieghe che emergono i punti più toccanti del documentario, che lascia lo spettatore con la voglia di scoprire o riscoprire l’opera di Chatwin. Di partire con lui per quei viaggi che oggi più che mai allargano il cuore alla speranza di poter tornare presto a muoversi in libertà, incontrare persone e popoli lontani.
Nato a Sheffield (allora nello Yorkshire) il 13 maggio 1940 Bruce Charles Chatwin è considerato uno dei più innovativi scrittori del Novecento, per quanto riguarda la letteratura di viaggio. Giovanissimo lavorò per la prestigiosa cada d’aster Sotheby’s, diventando un eseprto d’arte. Appassionato di archeologia e affamato di conoscenza lasciò il lavoro, iniziò a scrivere per il Sunday Time Magazine, viaggiò molto per l’Africa, per l’America Latina e l’Australia, alla costante ricerca di un contatto con le tribù nomadi e gli aborigeni, da cui restò sempre affascinato. L’opera che lo consacrò fu il romanzo In Patagonia (1977), nato dalla curiosità per “un pezzo di pelle di brontosauro”, custodito dentro una vetrinetta di sua nonna, scaturita in una lunga permanenza nella vasta regione sudamericana. Denso di enigmatiche storie di dinosauri, miti e viaggi ai confini del mondo divenne un caso letterario dell’epoca.
Conobbe e intervistò diverse personalità, come lo scrittore e politico francese Adré Malraux, la scrittrice sovietica Nadežda Mandel’štam, vittima delle grandi purghe staliniane e la designer e architetto Eileen Gray, pioniera del movimento moderno, Indira Gandhi e il filosofo e scrittore tedesco Ernts Jünger.
Un altro tema che suscitò l’interesse di Chatwin fu lo studio sulla tratta degli schiavi, che diede origine al romanzo Il viceré di Ouidah, da cui il regista Werner Herzog trasse ispirazione per il suo film Cobra verde (1987).
Figlio di un ufficiale di marina, Chatwin diceva di aver iniziato ad apprezzare la vita nomade fin da piccolo, quando la famiglia si spostava da una parte all’altra del Regno Unito. Da grande non smise mai di viaggiare, mosso da una profonda irrequietezza dello spirito. Considerato un “seduttore”, amava raccontare aneddoti e catalizzare l’attenzione delle persone, affascinando donne e uomini indistintamente. Tenne a lungo celata la sua bisessualità e restò sposato con l’americana Elizabeth Chanler fino all’ultimo, quando le conseguenze dell’aids, lo consumarono all’età di 49 anni. Le immagini del film di Werner Herzog Wodaabe (1989), sulle popolazioni nomadi del Sahel, furono le ultime che Chatwin vide prima di cadere nel suo coma finale e partire per il suo ultimo viaggio.
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