Aziende, Comuni, enti di ricerca, porti, marine, singoli cittadini insieme per difendere i mari dalla plastica, dall’inquinamento chimico e dal degrado degli habitat: nasce Water defenders alliance
Il documentario Abyss Clean Up ci fa immergere alla scoperta dei fondali coperti di rifiuti
Abyss Clean Up, diretto da Igor D’India, segue quattro anni di lavoro di un gruppo di esperti alla ricerca di rifiuti nel mar Mediterraneo.
“Avete capito bene: state guardando l’ennesimo film sulla monnezza”. È la frase di apertura del documentario Abyss Clean Up del regista Igor D’India. Ma questo film è molto di più, perché segue il lavoro di quattro anni di un gruppo di esperti alla ricerca di rifiuti nel mar Mediterraneo. Un viaggio entusiasmante alla ricerca dei misteri del nostro mare, tra la bellezza della natura e l’orrore lasciato dall’uomo. Con un obiettivo principale: monitorare i rifiuti sul fondale dello stretto di Messina a una profondità di 600 metri, avendo appena quattro giorni a disposizione.
Il lato nascosto del nostro mare raccontato da Abyss Clean Up
Il film parte dal 2019. Igor D’India incontra Martina Pierdomenico, ricercatrice del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), che racconta una verità inaspettata sullo stretto di Messina. Dalle fotografie scattate con i rov (sottomarini a controllo remoto), risulta infatti che la densità dei rifiuti in alcuni punti del fondale va da un minimo di 121mila oggetti per km2 a un massimo di 1,3 milioni. Anche altri studi confermano che lo stretto che separa Calabria e Sicilia, per le caratteristiche peculiari del territorio, potrebbe essere uno dei più inquinati del mondo. Una manifestazione particolarmente drammatica di un problema che ha una diffusione planetaria: dagli studi sembra che la quantità di rifiuti nei mari nel mondo sia destinata ad aumentare, fino a raggiungere nei prossimi vent’anni un volume stimato di tre miliardi di tonnellate.
Da qui comincia la volontà del regista di vedere con i propri occhi cosa si nasconde nel Mediterraneo. In breve tempo prende il brevetto da sub e si circonda di esperti che mettono a disposizione le ultime tecnologie, come il robot-granchio Silver II, frutto del lavoro di un team dell’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna. Mentre in prossimità della costa si possono affidare le operazioni di raccolta ai sub, a una profondità maggiore diventa necessario disporre di un rov, una sorta di sottomarino filoguidato senza equipaggio. Si tratta di un lavoro costoso e molto complesso, senza garanzie di successo. Igor D’India racconta in voiceover per tutta la durata del film le scoperte fatte nel corso del tempo. Dal capodoglio spiaggiato con la pancia piena di rifiuti, alle automobili abbandonate sul fondale al largo di Varazze, le immagini sono forti ma servono a immergere lo spettatore nella realtà dei nostri mari, poca conosciuta.
Il commento del regista Igor D’India
“Io sono rimasto colpito dal fatto che c’è una bassissima percentuale dei fondali esplorati e sappiamo poco dei rifiuti in mare”, racconta a LifeGate Igor D’India. “Il problema è che i rifiuti sono un grande business a terra, che fa guadagnare soprattutto chi li smaltisce illegalmente. Al contrario, recuperarli dai fondali e poi provare a smaltirli legalmente ha al momento un costo elevatissimo, enormi rischi legali e zero guadagni per chi fa queste operazioni. Noi ci dobbiamo rendere conto che con le nostre attività stiamo mettendo a repentaglio le altre specie. Oltre a questo creiamo un problema anche a noi stessi, perché le microplastiche che rilasciamo in mare poi finiscono nei piatti che mangiamo. Tutto parte dalla cattiva gestione a terra, dalle nostre scelte individuali. Pensiamo agli abissi come a un qualcosa a parte, ma non è così”.
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