La Nuova Zelanda sta ancora facendo i conti con il ciclone Gabrielle

A una settimana dal ciclone tropicale Gabrielle, la Nuova Zelanda conta 11 vittime, oltre mille persone isolate e danni per miliardi. E ora torna a piovere.

  • Il 14 febbraio il ciclone tropicale Gabrielle ha colpito la costa orientale dell’Isola del Nord.
  • Dopo una settimana continuano i soccorsi: 11 vittime, mille isolati, diecimila sfollati.
  • Il governo sottolinea: questa è crisi climatica.

Undici vittime, più di mille persone ancora irraggiungibili, diecimila sfollati, ma potrebbe andare peggio: potrebbe (continuare a) piovere. Il ciclone Gabrielle che nei giorni scorsi ha battuto la Nuova Zelanda come fosse un paese tropicale potrebbe avere una ulteriore coda, perché i servizi meteo locali hanno già segnalato il rischio che tra 50 e 100 altri millimetri di pioggia possano abbattersi sulla costa orientale dell’Isola del Nord, quella più densamente popolata tra le due che compongono la Nuova Zelanda, tra venerdì e sabato prossimi. L’ennesimo allarme per un Paese in cui, secondo quanto comunicato dalla polizia, a una settimana dal passaggio di Gabrielle 1.131 persone rimangono ancora completamente isolate, dozzine di uomini sono ancora al lavoro per riallacciare le comunicazioni e i trasporti “con la massima urgenza urgenza”.

Il ciclone Gabrielle ha lasciato dietro di sé pesanti danni su tutta la costa est della Nuova Zelanda, che si è trovata in difficoltà nonostante sia un paese molto ricco e particolarmente preparato ad affrontare calamità territoriali essendo molto soggetta a terremoti, eruzioni di vulcani attivi e venti molto forti. Il neopremier Chris Hipkins, da poco subentrato a Jacinda Ardern ha affermato che il ciclone tropicale è stato “il più grave disastro naturale di questo secolo per la Nuova Zelanda”. Preceduto peraltro da pesantissime inondazioni nelle scorse settimane nelle regione di Auckland.

Dall’emergenza alla ricostruzione

Il governo ha dichiarato lo stato di emergenza in diverse zone per una settimana, tra cui quelle di Otamori, Patoka, Tutira e Waiatarua  che sono isolate, e raggiungibili finora solo in elicottero: solo così i soccorritori sono riuscito a consegnare aiuto alimentari e medicinali per 26 tonnellate. Sono circa 15mila gli edifici ancora senza corrente elettrica, soprattutto nelle città costiere di Gisborne e Napier. Per far fronte alla situazione è stato schierato anche l’esercito, con due navi da guerra e un aereo C-130 Hercules riconvertiti a uso civile per trasportare beni di prima necessità ai circa 10mila sfollati.

Mentre gestisce l’emergenza, il governo neozelandese ha già iniziato a programmare la ricostruzione: Hipkins ha parlato di “diversi miliardi di dollari” necessari per sistemare tutti i danni del ciclone, ma nel frattempo il ministro delle Finanze Grant Robertson ha annunciato una prima tranche di aiuti solamente per 300 milioni di dollari neozelandesi (circa 175 milioni di euro) in aiuti.

La potenza è dettata dalla crisi climatica

La Nuova Zelanda generalmente non è del tutto esente dall’essere colpita da cicloni tropicali: nel corso dell’ultimo mezzo secolo si ricorda per esempio un evento particolarmente grave nel 1968, che causò ben 51 vittime, e altri di entità minore, con pochi danni, gli ultimi nel 2017 e nel 2018. Gli eventi climatici che da settimane stanno colpendo sistematicamente l’isola sono però una novità. Il governo della Nuova Zelanda ha un ministro per il Clima, James Shaw, che all’indomani del passaggio di Gabrielle ha espresso “rabbia per decenni di inerzia politica. Sappiamo del cambiamento climatico almeno dalla fine degli anni Ottanta”, ha spiegato a The Front Page.

“Abbiamo sprecato il tempo che avevamo a disposizione per prendere una linea d’azione diversa e impedire che ciò accadesse”. Ma nel dibattito politico neozelandese non sembra ancora aver preso piede del tutto l’idea della necessità di lavorare per l’abbattimento delle emissioni di CO2: il leader dell’Act Party, David Seymour, ad esempio, ha recentemente espresso la convinzione che la risposta al cambiamento climatico debba essere, più che la mitigazione, l’adattamento, sostenendo che “la Nuova Zelanda non può cambiare il clima”. A Seymour, Shaw ha risposto laconicamente: “Sarebbe come impegnarsi a togliere l’acqua dalla propria casa, pensando però che a questo punto sia inutile riparare il tetto”.

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