Ankara, attacco kamikaze alla manifestazione del partito curdo: 97 morti

È drammatico il bilancio dell’attentato subito il 10 ottobre, a tre settimane dalle elezioni, da migliaia di militanti pacifisti curdi nel centro della capitale turca.

Migliaia di persone erano riunite, nella mattinata di sabato 10 ottobre, nel quartiere di Ulus, nel pieno centro della capitale turca Ankara, di fronte alla stazione ferroviaria. Cantavano, ballavano, sventolavano bandiere in attesa di prendere parte alla marcia organizzata, assieme ad alcuni sindacati, dal Partito per la democrazia dei popoli (Hdp). Un movimento filo-curdo, di sinistra. Ma il corteo non è mai partito: due esplosioni, riprese in diretta in un video amatoriale, hanno sconvolto la piazza.

https://www.youtube.com/watch?v=MB-pz-aFbgw

Secondo le informazioni provenienti dalla Turchia, è probabile che a farsi saltare in aria siano stati due kamikaze. Il bilancio è devastante: 97 morti e quasi 300 feriti. Il presidente curdo Recep Tayyip Erdoğan, leader del partito islamico-conservatore al governo, ha reagito condannando “fermamente questo attacco vergognoso contro la nostra unità e la pace del nostro Paese”. Ma c’è chi ha puntato il dito proprio contro il leader turco, da tempo impegnato in una dura lotta politica nei confronti dei curdi. I militanti dell’Hdp sono scesi infatti nuovamente in piazza, domenica, sfilando dietro striscioni che recitavano: “Conosciamo i colpevoli” e “Stato assassino”. I partecipanti al corteo hanno ricordato, poi, le altre due recenti manifestazioni dell’Hdp finite nel sangue: il 5 luglio a Diyarbakir, e il 20 luglio a Suruç, nei pressi della frontiera siriana. Quest’ultimo attacco fu attribuito dal governo agli estremisti dello Stato islamico, che proprio in quell’area sono in guerra contro i curdi. Ma gli integralisti non lo hanno mai rivendicato.

I curdi, inoltre, sospettano che dietro la strategia della tensione si nascondano anche ragioni meramente politiche: alle ultime elezioni, tenute il 7 giugno, il partito curdo ha registrato infatti un boom di voti, superando per la prima volta la soglia di sbarramento del 10 per cento, ed ottenendo così 80 deputati. Soprattutto, l’Hdp ha costretto il partito Akp del presidente Erdogan ad accontentarsi – dopo molti anni di potere indiscusso – di una maggioranza relativa e non assoluta.

 

Per questo lo stesso leader turco ha indetto nuove elezioni, il prossimo 1 novembre, nella speranza di ritrovare l’egemonia sulla politica turca. Nel frattempo, ha avviato una politica volta a screditare i rappresentanti curdi, culminata a settembre con il coprifuoco imposto alla città di Cizre per una settimana, nel corso del quale l’accesso all’area urbana è stato negato persino ai parlamentari. Nel Sud-Est del Paese, inoltre, il 6 settembre è stata arrestata la giornalista olandese Frederike Geerdink, che si trovava sul posto per raccontare gli scontri tra l’esercito regolare turco e i ribelli curdi del Pkk. Un gesto condannato da Reporter senza frontiere come “un’intimidazione”.

 

ANKARA, TURKEY - OCTOBER 11: Family members of Korkmaz Tedik, a victim of Saturday's bomb blasts, react as they mourn during a funeral ceremony in Ankara, October 11, 2015 Turkey. Thousands of people, many chanting anti-government slogans, gathered in central Ankara on Sunday near the scene of bomb blasts which killed at least 95 people, mourning the victims of the most deadly attack of its kind on Turkish soil. Police insisted investigators were still working at the site. Turkish PM Davutoglu declares three days of national mourning over Ankara bomb attacks. (Photo by Gokhan Tan/Getty Images)
Alcuni familiari delle vittime si sono riuniti, domenica, in piazza. Assieme a migliaia di persone che hanno accusato il governo ©Gokhan Tan/Getty Images

 

Domenica, papa Francesco ha parlato di “strage terribile” contro “persone inermi che manifestavano per la pace”. Sono intervenuti inoltre, la responsabile della diplomazia dell’Ue, Federica Mogherini, il presidente americano Barack Obama e decine di governi di tutto il mondo. Invocando, in un coro unanime, un processo di pace che, però, sembra sempre più lontano.

 

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