Diritti umani

Il Gennaio rosso del Brasile, i nativi protestano contro Bolsonaro

In Brasile e in molte città del mondo sono in corso proteste contro le politiche del nuovo presidente che minacciano la sopravvivenza dei nativi.

Sangue indigeno, non una goccia in più”, al grido di questo slogan in tutto il Brasile e in molte altre città del mondo, come Berlino, Madrid, Milano, Lisbona, Londra, Los Angeles, Parigi, San Francisco, Washington e Zurigo, migliaia di persone protestano contro le politiche del nuovo presidente del Brasile, Jair Bolsonaro, apertamente avverse alle popolazioni indigene.

Proteste contro Bolsonaro a Londra
L’attrice premio Oscar Julie Christie si è unita ai manifestanti di Survival davanti allAmbasciata brasiliana a Londra per chiedere a Bolsonaro di fermare il genocidio in Brasile © Survival International

Perché protestano i nativi

Già durante la campagna elettorale Bolsonaro aveva fatto capire che, secondo lui, gli indios brasiliani sono un problema, più che una risorsa. Se ci fossero dubbi li ha spazzati via con uno dei primi provvedimenti del proprio mandato: ha infatti tolto al Funai (il dipartimento brasiliano agli Affari indigeni) la responsabilità di demarcare le terre indigene per affidarla al ministero dell’Agricoltura, fortemente asservito al settore agroindustriale e dalle note posizioni anti-indigene.

Una dichiarazione di guerra contro gli indigeni

Il provvedimento, secondo Survival International, il movimento mondiale per i popoli indigeni, avrà un terribile impatto sulle popolazioni indigene del Brasile, e in particolare sulle tribù incontattate. Se già prima gli attacchi alle comunità indigene da parte di allevatori e dei loro sicari erano frequenti, in seguito all’elezione di Bolsonaro e a causa della sua retorica anti-indigena, sono aumentati drasticamente. Ad esempio, riferisce Survival, il territorio occupato dagli indiani incontattati Uru Eu Wau Wau è stato invaso mettendo in pericolo la sopravvivenza dei nativi.

Proteste della tribù Wawi
Proteste da parte dei nativi nel territorio Wawi, in Brasile © Kamikia Kisedje

Cos’è il Gennaio rosso

Gli indigeni brasiliani non hanno però alcuna intenzione di aspettare inermi di essere strappati alle loro foreste e di venire spazzati via per sempre. “Resistiamo da 519 anni, non ci fermeremo ora – ha affermato Rosilene Guajajara, membro delle Guerriere  della foresta, gruppo di donne che lotta in difesa dell’ambiente nello stato del Maranhão. – Uniremo le nostre forze e vinceremo”. Le proteste, che proseguono da un mese, sono guidate dall’Associazione dei popoli indigeni del Brasile (Apib) nell’ambito della campagna “Sangue indigeno, non una goccia in più”, nota anche come “Gennaio rosso”.

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Il sangue del Brasile

Da oltre cinque secoli i nativi brasiliani sono sotto attacco e devono resistere ai tentativi di essere cacciati dalle proprie terre. “Il governo Bolsonaro è la rappresentazione definitiva di questa barbarie tramite una politica di sterminio ora istituzionalizzata da parte dello stato – si legge in un comunicato dell’Apib. – Abbiamo il diritto di esistere, non ci tireremo indietro. Denunceremo questo governo in tutto il mondo. Il sangue indigeno è il sangue del Brasile e non se ne verserà più una goccia!”. Dei circa 209 milioni di abitanti del Brasile, un milione è costituito da indigeni che vivono su terre che occupano il 12,5 per cento del territorio nazionale.

I nativi brasiliani marciano per chiedere diritti
Manifestazione per i diritti indigeni per le strade del Brasile © Mídia Índia

Cosa chiede l’Apib

A gennaio l’Apib ha chiesto al procuratore generale di sospendere il dispositivo di misura provvisoria 870/2019, quella che prevede il declassamento del Funai, poiché viola apertamente la costituzione. L’organizzazione, che coordina la lotta indigena del Paese, chiede al governo che vengano tutelati i diritti dei nativi, così come previsto dalla costituzione, che vengano garantiti i diritti umani, che si combatta la violenza contro le popolazioni indigene e che vengano ripristinate le funzioni del Funai.

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