Quando l’arte trova “casa” nel paesaggio, possono nascere luoghi di racconto che vanno al di là delle opere stesse. Il risultato è spesso sorprendente.
Keith Haring a Milano: l’arte dai temi profondi che “arriva” a tutti
È una delle mostre più attese del 2017: Keith Haring about art sarà a Palazzo Reale di Milano dal 21 febbraio con 110 opere. Uno stile inconfondibile quello dell’artista pop americano, in grado di veicolare con apparente semplicità temi sociali e politici profondi a lui molto cari.
Iconico, spesso associato al mondo della pubblicità e al suo linguaggio, Keith Haring è considerato da molti un artista dalla produzione “semplice”. In realtà uno dei suoi scopi, forse il principale, era quello di rendere accessibili a tutti temi sociali profondi grazie ad arte dal forte impatto: immediata. Un risultato al quale è arrivato anche grazie a una complessa ricerca. La mostra Keith Haring, About art a Milano vuole mettere in luce questo aspetto dal 21 febbraio al 18 giugno a Palazzo Reale.
La genialità dell’arte leggera di Keith Haring a Milano
110 opere, molte di dimensioni monumentali, alcune delle quali inedite o mai esposte in Italia. Una grande mostra quella dedicata a Keith Haring a Milano che vuole anche rendere esplicito agli spettatori un aspetto forse poco indagato dell’artista americano: l’influenza della storia dell’arte sulla sue opere. I suoi graffiti e dipinti, tutte le sue produzioni vanno lette anche alla luce della storia delle arti che ha compreso e collocato al centro del suo lavoro, assimilandola fino a integrarla esplicitamente nei suoi dipinti e costruendo in questo modo la parte più significativa della sua ricerca estetica.
Come a dire: può apparire una forma d’espressione semplice la sua, ma non lo è. Ha il pregio di apparire tale, di “arrivare” subito, ma ha radici profonde.
Così, Haring si è ispirato e ha reinterpretato con il suo stile unico e inconfondibile gli archetipi della tradizione classica, l’arte tribale ed etnografica, l’immaginario gotico e il cartoonism, fino ad arrivare – in questo percorso nella storia dell’arte – al linguaggio del suo secolo e a spingersi sino nel futuro con l’impiego del computer in alcune sue ultime sperimentazioni.
Tra le aree trattate da Haring che l’hanno portato a essere incasellato tra gli esponenti di una controcultura socialmente e politicamente impegnata su temi del suo e del nostro tempo ci sono: droga, razzismo, Aids, la minaccia nucleare, l’alienazione giovanile, la discriminazione delle minoranze, l’arroganza del potere. Un sentire collettivo, condiviso da molti, a cui lui però è stato capace di dare forma, una forma semplice dalla forte singolarità che, ancora oggi, lo rende unico.
Dalla vita di Keith Haring alla sua arte
Arrivato al successo giovanissimo, Haring non ha forse potuto esprimere tutto ciò che avrebbe voluto per via della sua morte prematura: l’Aids lo stroncò a soli 31 anni, quando era famoso, riconosciuto e già un’icona. Non ebbe una vera e propria formazione accademica – lasciò gli studi, anche se la laurea gli fu consegnata post mortem nel 2000 – ma questa forse è stata una delle componenti del suo successo.
Abbandonò infatti le lezioni di grafica pubblicitaria intraprese nella città statunitense di Pittsburgh – non era quella la sua strada – vivendo per qualche tempo in povertà e dovendosi “dare da fare” lavorando senza orari fissi. Tutto questo gli permise di dedicarsi molto alla lettura che in seguito lo influenzò. Nel 1977 conobbe Pierre Alechinsky, protagonista dell’arte in quegli anni, che fu capace di influenzarlo e guidarlo. E solo un anno dopo Haring organizzò la sua prima mostra personale sempre a Pittsburgh, riscuotendo un successo enorme.
Si trasferì poi a New York per la sua definitiva consacrazione e per seguire i corsi della School of visual art, dove apprese i rudimenti del disegno, della pittura e della scultura. In questi anni nacque anche l’amicizia con Kenny Scharf e Jean-Michel Basquiat – in mostra a Milano fino al 26 febbraio – e l’interesse per il graffitismo che Haring utilizzò come mezzo espressivo soprattutto nell’ambiente metropolitano della Grande mela.
Gli anni Ottanta furono quelli della fama assoluta ma anche della malattia: l’Aids limitò la sua produzione artistica e nel 1990 l’artista morì. La sua ultima opera la realizzò in Italia: Tuttomondo, sulla parete esterna del convento di Sant’Antonio a Pisa. In molti la considerano un inno alla sua vita.
La mostra è aperta lunedì: 14.30-19.30; martedì, mercoledì, venerdì e domenica: 9.30-19.30; giovedì e sabato: 9.30-22.30. Il biglietto costa 12 euro.
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