Otto grandi mostre in giro per l’Italia, ma non solo, per un autunno all’insegna dell’arte in ogni sua forma: pittura, scultura e performance.
Obey a Milano: un murale e una mostra per i 35 anni di lotta di Shepard Fairey
Shepard Fairey in arte Obey, realizza un murales a Milano inaugura la sua prima mostra personale in Italia.
35 anni di attività, 18 arresti, più di 135 murales pubblici e una quantità enorme di stampe e opere visive: Obey, al secolo Shepard Fairey, è uno degli artisti più prolifici e impegnati della nostra epoca, che ha fatto dell’estetica bold e della propaganda politica i cardini della sua opera. In questi mesi è stato ospite a Milano nella residenza d’artista della Fabbrica del vapore per realizzare il suo primo murale in città, nel quartiere Gallaratese, inaugurato il 22 maggio. Mentre sempre la fabbrica del vapore ospiterà la sua prima personale in Italia, dal 16 al maggio al 27 ottobre.
Shepard Fairey è un personaggio magnetico e generoso, che si concede molto, racconta, firma stampe e magliette come se non fosse l’artista incredibile e quotato che è e, in questo, è coerente tanto con la sua arte che con il suo pensiero: “L’ultima volta che sono stato a Milano era il 2005: ero in città per una manifestazione che si chiamava Urban Edge in cui erano stati coinvolti molti esponenti della street art internazionale dell’epoca: allora la nostra era una scena che non veniva presa seriamente nel mondo dell’arte. Mi rende felice vedere che in diciannove anni ci sono stati dei progressi in questo senso e credo che Milano sia il posto giusto per una retrospettiva del genere sia perché è la città della moda – Obey è il creatore anche dell’eponima linea di abbigliamento – ma anche perché è una città molto attiva dal punto di vista della creatività”.
OBEY: The Art of Shepard Fairey, la mostra alla Fabbrica del vapore
La mostra si articola in uno spazio vasto e non guidato, in cui allo spettatore non viene proposto un percorso obbligato, ma è libero di scegliere il proprio modo di fruizione un po’ come se si perdesse passeggiando per una città: “Io non dipingo per strada perché credo che sia l’unica venue per l’arte, ma perché, per me, è il modo migliore di entrare in connessione con le persone. Il mio credo è che l’arte dovrebbe essere ovunque, nei vestiti che indossi, nella macchina che guidi, nei videogame a cui giochi, nei film e nelle serie tv. Il mondo della fine art è esclusivo e poco accessibile, io invece voglio che le persone capiscano il valore dell’arte in ogni singolo aspetto della vita. Credo che l’arte possa modellare le idee delle persone perché è qualcosa che si connette profondamente alle nostre emozioni. L’obiettivo del mio lavoro è stimolare le persone ad entrare in una conversazione alla quale probabilmente altrimenti non si unirebbero. Sia che si tratti del dibattito pubblico, che di una conversazione con se stessi. Per questo la street art è tanto potente: perché raggiunge le persone nella loro vita di tutti i giorni non obbligandole ad uscire dalla loro routine per goderne, come succede ad esempio per andare al museo o in una galleria. In questo sono stato ispirato molto dalla musica e dalla sua capacità di veicolare le idee: mescolare sensazioni di gioia e pensieri provocatori su tematiche politiche che sociali per me è la chiave: non ho fatto altro che seguire l’esempio di artisti come Bob Marley, The Clash, Rage against the machine, The Dead Kennedys, che utilizzavano la musica per veicolare i loro messaggi politici. Io volevo fare la stessa cosa con l’arte visuale perché globalmente stiamo affrontando molte crisi come l’erosione della democrazia e la distruzione dell’ambiente”.
Centrali nell’opera di Obey, Shepard Fairey, sono il concetto di giustizia, tanto sociale quanto economica, la ricerca della pace e la lotta contro i cambiamenti climatici: “È una follia che sia stato arrestato 18 volte quando crimini economici vengono perpetrati ogni giorno alla luce del sole senza che nessuno venga messo in galera o ne subisca le conseguenze. Mi fa pensare ancora di più alla natura della giustizia stessa. Da diabetico sono state esperienze tremende, perché delle volte mi è stata addirittura tolta l’insulina, ma questo mi ha permesso di vedere ancor più da vicino come il potere venga utilizzato in maniera selettiva e ingiusta nei confronti di alcuni soggetti e non di altri. Io poi opero principalmente negli Stati Uniti dove alcuni temi sono parecchio scottanti. Ad esempio: ogni volta che mi esprimo sulla necessità di regolare il possesso di armi vengo minacciato e attaccato in maniera molto aggressiva, ma è necessario schierarsi contro le cose che causano sofferenza”.
Erosione della democrazia e lotta ai cambiamenti climatici
Quali sono gli argomenti più pressanti del dibattito politico odierno?
La lotta contro i cambiamenti climatici e il supporto alla democrazia: ci sono troppi posti nel mondo che si stanno muovendo verso contesti di fascismo e nazionalismo e credo che sia molto pericoloso. Bisogna supportare i movimenti che si articolano intorno alla giustizia, che si tratti giustizia economica, sociale, o di genere. Perché ci sia giustizia bisogna che le leggi siano sviluppate attraverso processi democratici: senza di questi molto probabilmente i governi non si cureranno delle persone, ma intrecceranno sempre di più rapporti con il potere economico.
Una parte importante del tuo lavoro riguarda i cambiamenti climatici, credi che questa sia una lotta che potrebbe unire le persone trasversalmente?
Il climate change è un problema che interessa tutto il mondo a livello globale, anche se alcuni paesi ne sono più colpiti di altri. Il Bangladesh più dell’Italia ad esempio, ma anche qui negli ultimi periodi tra piogge intense e ondate di calore i suoi problemi li sta dando. Il costo in vite umane delle persone che non hanno le infrastrutture adatte per fronteggiare le nuove condizioni potrebbe essere evitato se tutti cooperassimo in favore del clima. Credo davvero che le conseguenze peggiori potrebbero essere evitate se ci unissimo tutti per fare la nostra parte per il pianeta. Questo richiede che le persone smettano di essere egoiste e capiscano che prima o dopo saremo tutti colpiti dagli effetti dei cambiamenti climatici. Chi non si interessa del clima ma vive come un problema l’immigrazione, ad esempio, non capisce che le due cose sono collegate. Le persone che vivono in posti dove le condizioni non permetteranno più di coltivare si sposteranno e andranno dove vive chi non li vuole. Comprendere la portata globale delle questioni climatiche e smettere di essere egoisti però presuppone educare le persone a pensare in maniera compassionevole e generosa.
Obey, Trump e le prossime elezioni presidenziali
Una delle opere più famose di Obey e che ha contribuito in maniera significativa a segnarne la fama, è un poster che realizzò nel 2008 in vista delle elezioni presidenziali americane, quelle in cui per la prima volta si candidò e vinse Barack Obama.
Ci stiamo avvicinando alle prossime elezioni presidenziali degli Stati Uniti, sei preoccupato?
Nel 2008 ho fatto quel poster perché credevo nelle proposte politiche di Obama, che è sempre stato un gran comunicatore. Ammiravo la sua capacità di ispirare le persone e farle guardare ad altre possibilità, a credere nella speranza e non nella paura, anche se poi non è riuscito a portare a termine tutto quello che mi sarei aspettato. Per queste elezioni sono molto molto preoccupato: Trump è il politico più pericoloso di tutta la storia politica degli Stati Uniti d’America e proverà con ogni mezzo a minare le strutture che reggono la nostra democrazia, porterà il paese verso il fascismo. Lo sta già facendo: il partito repubblicano sta già lavorando per far affermare la cultura nazionalista e questo è estremamente pericoloso. Anche se credo che Joe Biden sia troppo vecchio è comunque un essere umano decente, che sta cercando di aiutare con la sua politica la classe dei lavoratori e la middle class e, se non sarà rieletto, il destino dell’America sarà tragico.
Un appello per il cessate il fuoco a Gaza
Obey, il tuo ultimo murales a Milano è dedicato alla pace, una parola che è centrale nel tuo lavoro e che ultimamente è in pericolo…
La parola pace guida il mio lavoro in particolar modo dalla guerra in Iraq in avanti ma ora, con quello che sta succedendo in Ucraina e in Palestina, è una parola che deve essere ripetuta ancora più spesso. Pace non significa che bisogna essere tutti d’accordo, ma che non bisogna utilizzare la violenza per appianare i contrasti. Come specie siamo molto intelligenti: possiamo vivere insieme se accettiamo dei compromessi, ma quando ci sono alcune persone che ne reputano altre inferiori questo equilibrio si inclina ed è tutto molto pericoloso. Pace è un’idea generica, ma il modo per arrivarci è insegnare alle persone come vivere insieme e riconoscere l’umanità gli uni negli altri, come trovare il compromesso attraverso la diplomazia. Quello che sta succedendo a Gaza è devastante perché colpisce una popolazione che vive in condizioni di difficoltà ormai da molto tempo, in condizioni quasi di apartheid, come detto da Jimmy Carter . Quello che è successo il 7 ottobre è stato terribile, nessuno dovrebbe morire mentre sta semplicemente tentando di vivere la propria vita, ma la risposta di Israele è stata così tremenda e sta uccidendo così tante persone che deve essere fermata ad ogni costo. Deve esserci un cessate il fuoco adesso.
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