Picco glicemico, il lato amaro degli zuccheri che è meglio evitare

Mangiare troppo zucchero affatica il fegato e aumenta l’infiammazione. Conoscerlo e imparare a consumarlo fa la differenza per la nostra salute.

  • I picchi glicemici sono oscillazioni anomale nella curva che rappresenta la variabilità glicemica che provocano danni molto precisi.
  • Dipendono dall’assunzione di tutti i tipi di zuccheri, anche quelli presenti nella frutta e nel miele o in cibi di solito insospettabili.
  • Gli zuccheri non sono “nemici” del nostro organismo. Conoscerli e assumerli nel modo corretto permette di regolare la curva del glucosio e salvaguardare la nostra salute.

Gli zuccheri sono praticamente ovunque. Ne mangiamo troppi, spesso senza accorgercene, mettendo a rischio la nostra salute. Per anni si è pensato che bastassero i valori di glicemia a indicare i suoi effetti sull’organismo. Oggi invece si sta scoprendo che le conseguenze più dannose derivano dal picco glicemico.

Attacchi di fame e stanchezza cronica sono solo alcuni dei sintomi più lievi e più diffusi. Tra i più gravi, patologie cardiovascolari, diabete, cancro e Alzheimer. Come evitare il peggio? Abbiamo raccolto i consigli di alcuni specialisti in materia, che ci hanno spiegato perché i picchi zuccherini e la variabilità glicemica sono pericolosi e come possiamo contenerli, senza rinunciare al piacere del cibo. Dolci e carboidrati inclusi. 

picco glicemico ragazza guarda barretta energetica
Anche gli snack a basso contenuto calorico possono provocare un picco glicemico © iStock

Zuccheri semplici, invisibili, nascosti

Cosa scatena un picco glicemico? Partiamo dalle basi e ripassiamo un po’ di chimica. Le nostre cellule, come quelle degli animali e delle piante, hanno bisogno di energia per vivere, e la fonte primaria di questa energia è il glucosio. Lo otteniamo principalmente tramite il cibo, sotto forma di due carboidrati: amidi e zuccheri.

Questi ultimi, che includono il glucosio, il fruttosio, il saccarosio (unione delle prime due molecole) e il lattosio, sono detti carboidrati a rapido assorbimento o “semplici”, perché entrano subito nel circolo sanguigno. Li troviamo in natura in moltissimi alimenti come frutta, verdura e latticini, ma vengono anche aggiunti artificialmente a molti altri, come pane, bevande analcoliche, snack e condimenti. È anche agli zuccheri aggiunti artificialmente che bisogna prestare attenzione.

I cibi che contengono naturalmente zucchero, infatti, sono di solito più ricchi di fibre, vitamine, minerali e altre sostanze nutritive, che rallentano la velocità alla quale viene digerito e assorbito e ci fanno sentire sazi. Al contrario, gli alimenti cosiddetti ultraprocessati, cioè trasformati industrialmente per renderli più gustosi e farli durare di più negli scaffali dei supermercati, spesso sono poveri di fibre e ricchi di zucchero, grassi e sale. Calorie vuote, nocive e poco nutrienti.

“Esiste una serie di alimenti che raramente percepiamo come zuccherini. In questa categoria rientrano gli zuccheri ‘nascosti’, ovvero quelli che non associamo immediatamente all’assunzione di zucchero (cereali da prima colazione, bevande vegetali, ketchup, yogurt alla frutta…)”, spiega la biologa e nutrizionista dott.ssa Linda Vona.

Questi ingredienti sono spesso “camuffati” nelle etichette sulle confezioni dei prodotti: malto d’orzo, zucchero di canna, sciroppo di mais, melassa, miele e tutte quelle sostanze che finiscono in -olo, i polioli come xilitolo, maltitolo, eritritolo che pur essendo ipocalorici possono stimolare indirettamente i picchi glicemici e farci  ingrassare e ammalare. Si tratta di operazioni di health washing da cui è meglio diffidare.

“Il punto fondamentale, purtroppo ancora poco chiaro ai più, è che i polioli, nonostante non abbiano un effetto immediato sull’aumento degli zuccheri nel sangue (glicemia), agiscono comunque in maniera indiretta sulla insulino-resistenza, fenomeno per il quale l’organismo riuscirà sempre meno a gestire i carboidrati. L’effetto più comune nel breve periodo può essere l’incremento di grasso, cui si vanno ad associare, se non si interviene con un deciso cambio di abitudini alimentari e stile di vita, a seri dismetabolismi e patologie, tra cui il diabete”, continua Vona. Ora che abbiamo fatto chiarezza sulle sostanze, passiamo a capire cosa succede quando c’è un picco glicemico.

Picco glicemico e montagne russe

Un improvviso afflusso di zucchero provoca un rapido rilascio di insulina, l’ormone che porta lo zucchero dal flusso sanguigno alle cellule del corpo. I problemi nascono quando nel sangue c’è troppo zucchero. Il fegato, infatti, può immagazzinare una parte dell’eccesso, il resto viene stoccato nei muscoli ma infine quello che rimane si accumula come grasso. Quando l’insulina ha svolto il suo compito i livelli di zucchero nel sangue scendono rapidamente lasciando una sensazione di fame e allo stesso tempo facendoci ingrassare. Per il nostro corpo, è come salire e scendere continuamente dalle montagne russe.

“I picchi glicemici sono delle oscillazioni anomale. In passato, la definizione di variabilità glicemica è stata molto generica, analizzando a volte le oscillazioni della glicemia a digiuno, a volte i picchi glicemici post-prandiali o la variazione nel tempo della emoglobina glicata”, spiega il dottor Attilio Speciani, immunologo clinico e specialista in allergologia che da anni, con il suo gruppo di ricerca, studia gli effetti della glicazione in ambito clinico.

“Oggi invece la definizione corretta si riferisce alla misurazione di ampiezza, frequenza e durata delle fluttuazioni del glucosio durante le 24 ore, misurate attraverso innovativi biomarcatori come il Metilgliossale, con il supporto di sensori di nuova generazione definiti come glucometri. Si tratta di apparecchiature dotate di sensori specifici da applicare sulla pelle e oggi utilizzate solo in alcuni ambiti di terapia del diabete (già identificato) o in ambiti di ricerca clinica e farmacologica”.

C’è chi ha sempre fame

Questi flussi troppo rapidi di glucosio hanno conseguenze importanti sulle nostre cellule: vengono rilasciati radicali liberi, molecole responsabili dello stress ossidativo del corpo, e si favorisce la glicazione, una specie di “caramellizzazione” di proteine, enzimi e DNA alla base anche di Parkinson e Alzheimer. In generale, quello che si innesca è uno stato di infiammazione del corpo che danneggia lentamente organi e tessuti. Infine, un livello di insulina cronicamente elevato, necessario per abbassare la glicemia dovuta ai picchi, può portare obesità e diabete di tipo 2.

picco glicemico provoca fame costante
Avere sempre fame può essere un sintomo di insulina elevata © Pexels/Andres Ayrton

Per fortuna il nostro corpo ci manda segnali quotidiani, piuttosto facili da ascoltare. Parliamo dei sintomi a breve termine della variabilità glicemica, che variano da persona a persona. C’è chi si sente esausto e poco lucido, chi lamenta sudorazioni notturne, emicranie e sbalzi d’umore, chi si ammala di più e peggio, anche di coronavirus. E poi c’è chi ha sempre fame, perché non è più in grado di avvertire richiami dell’ormone della sazietà (leptina) a causa della troppa insulina.

“Quando quello che mangiamo provoca dei picchi anomali, si assiste ad una fluttuazione di valori che la scienza ha definito appunto come ‘variabilità glicemica’ e che risulta essere una delle più rilevanti cause di malattia e di mortalità”, avverte Speciani. “Conoscere le proprie caratteristiche metaboliche, infiammatorie e genetiche consente di godersi anche dei cibi dolci senza troppi allarmismi. Per questo motivo, misurare in anticipo eventuali danni da zucchero in modo preciso (Metilgliossale e Albumina glicata) è sicuramente meglio che supporre”. Ed eccoci, quindi ai rimedi.

Il rimedio è servito

Esistono test specifici (ben spiegati sul sito del gruppo GEK Lab) che consentono di identificare eventuali eccessi individuali di zuccheri e impostare una dieta personalizzata, con la giusta varietà alimentare, dolci compresi.

La lista delle soluzioni e dei rimedi per appiattire la curva glicemica comprende anche semplici consigli che possiamo mettere in pratica nella vita di tutti i giorni. Ne parla ampiamente la biochimica e matematica Jessie Inchauspé nel suo bestseller “La rivoluzione del glucosio” e nel profilo Instagram da 1 milione di follower @glucosegoddes (la dea del glucosio).

Ecco i principali:

  • mangiare i cibi nell’ordine giusto: prima le fibre, poi le proteine e i grassi, per ultimo l’amido e gli zuccheri. “È molto utile iniziare il pasto con una porzione di verdure crude così che da un lato la fibra permetta il rallentamento dell’assorbimento dei nutrienti successivi (tra cui anche i carboidrati) e dall’altro consenta di inserire come prima cosa i cosiddetti “panallergeni” (molecole contenute all’interno dei vegetali crudi che il sistema immunitario identifica come innocue inviando quindi un segnale antinfiammatorio nei loro confronti e di conseguenza anche nei confronti degli alimenti che si stanno assumendo durante il pasto”, consiglia Vona.
  • smettere di contare le calorie: come misura scientifica non sono in discussione, ma come spiega in un interessante reportage il giornalista dell’Economist Peter Wilson, pensare che basti controllarle per avere una dieta sana è una pericolosa illusione.
  • appiattire la curva dalla colazione: una colazione sbagliata, a base di amido e zuccheri (vedi muesli e frutta, ad esempio) è come un biglietto per l’ottovolante del glucosio, sintetizza Inchauspé. Consumare una colazione salata, che includa verdure, proteine e grassi può farci sentire più energici e sazi fin dall’inizio della giornata.
  • vestire i carboidrati: quando li mangiamo, abituiamoci ad accompagnarli a fibre, grassi e proteine. Combinare il glucosio con altre molecole fa sì che il corpo lo riceva a una velocità più gestibile e naturale, e il picco glicemico viene smorzato.
  • meglio un dessert dopo un pasto che uno spuntino a stomaco vuoto: questo permette di ridurre lo stato postprandiale, particolarmente impegnativo per l’organismo, e di evitare picchi improvvisi.
  • muoversi dopo mangiato: ogni contrazione muscolare consente di bruciare molecole di glucosio, senza bisogno di insulina. Bastano anche dieci minuti di passeggiata entro 70 minuti dalla fine del pasto per mitigare la curva.

Altre due accortezze da non sottovalutare, suggerisce Vona, sono la modalità di cottura e la texture degli alimenti: la cottura al dente della pasta, ad esempio, consente di conservare un indice glicemico più basso. Mentre cibi interi anziché sminuzzati o frullati rallentano l’assorbimento del glucosio.

Tutti questi consigli hanno una cosa in comune: l’invito a concentrarsi non solo sulla dieta ma su uno stile di vita sostenibile, che privilegi cibo di qualità e attività fisica. Perché nel piatto c’è posto per tutto, anche per lo zucchero.

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