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Secondo i risultati di uno studio l’etichetta degli alimenti dovrebbe riportare il contenuto nutrizionale del cibo, ma anche il suo grado di trasformazione.
Per capire se un alimento è sano è sufficiente leggere la sua composizione nutrizionale in etichetta? Secondo uno studio italiano realizzato dal Dipartimento di epidemiologia e prevenzione dell’Irccs Neuromed di Pozzilli (IS) e pubblicato sul British Medical Journal, la risposta è no. Occorre, infatti, valutare anche il grado di lavorazione a cui i cibi sono stati sottoposti.
La ricerca ha indagato quale dei due aspetti dell’alimentazione definisca meglio il rischio di mortalità. Gli studiosi hanno monitorato per dodici anni lo stato di salute di oltre 22mila persone partecipanti al Progetto epidemiologico Moli-sani e lo hanno correlato con le loro abitudini alimentari, prendendo in considerazione sia gli aspetti nutrizionali che quelli legati al grado di trasformazione dei cibi.
“I nostri risultati – ha affermato l’epidemiologa Marialaura Bonaccio, prima autrice dello studio – confermano che il consumo sia di alimenti di scarsa qualità nutrizionale sia quello di cibi ultra-processati aumenta in modo rilevante il rischio di mortalità, in particolare per le malattie cardiovascolari. Quando però abbiamo tenuto conto congiuntamente sia del contenuto nutrizionale della dieta sia del suo grado di lavorazione industriale, è emerso che quest’ultimo aspetto è quello più importante nell’evidenziare il maggiore rischio di mortalità”. Dunque il rischio aumentato di mortalità, legato in particolare allo sviluppo di malattie cardiovascolari, non è da imputare direttamente o esclusivamente alla bassa qualità nutrizionale di alcuni prodotti, ma al fatto che questi siano anche ultra-lavorati.
Da qui il suggerimento dei ricercatori di utilizzare un sistema di etichettatura per i prodotti commerciali che tenga conto di questo fatto. Se il Nutri-Score, sviluppato in Francia, valuta la qualità nutrizionale di un alimento, la classificazione Nova, ideata da un gruppo di ricercatori brasiliani, identifica gli alimenti cosiddetti ultra-processati, ossia quei cibi fatti in parte o interamente con sostanze che non vengono utilizzate abitualmente in cucina (proteine idrolizzate, maltodestrine, grassi idrogenati) e che contengono generalmente diversi additivi, come coloranti, conservanti, antiossidanti, anti-agglomeranti, esaltatori di sapidità ed edulcoranti. Sono un esempio le bevande zuccherate e gassate, snack preconfezionati, i piatti pronti tra cui anche i burger vegetali, come segnalato dall’Oms.
La soluzione proposta dal team di ricerca sarebbe quindi quella di integrare il sistema di etichettatura nutrizionale (l’Unione europea è al lavoro per stabilirne uno uniforme per tutti i Paesi europei) con informazioni riguardanti il livello di trasformazione dei cibi per aiutare i consumatori a fare scelte alimentari più consapevoli. Non solo: come affermato dai ricercatori, per un’alimentazione sana ogni cibo andrebbe considerato all’interno dell’alimentazione globale così come accade nel modello della dieta mediterranea, basata principalmente su prodotti freschi o minimamente lavorati.
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