È consuetudine, per invogliare all’astensionismo, invitare i cittadini “ad andare al mare”. L’8 e il 9 giugno si torna alle urne per una consultazione popolare che chiama in causa due temi centrali della vita quotidiana, il lavoro e la cittadinanza, ed è bene restare in città. Ma chi vuole andare al mare, potrà farlo lo stesso, perché oltre alla domenica si voterà anche il lunedì mattina, fino alle 15. Sono cinque i quesiti referendari su cui gli italiani potranno esprimersi in questa tornata, che in alcuni comuni coincide anche con il secondo turno delle amministrative: quattro riguardano i diritti e le tutele nel mondo del lavoro, uno le regole per ottenere la cittadinanza italiana se si è nati fuori dall’Unione europea. In tutti i casi si tratta di referendum abrogativi, ovvero che propongono di cancellare parti di leggi attualmente in vigore. Il meccanismo è semplice: votare SÌ significa voler cambiare la norma esistente, votare NO equivale a mantenerla così com’è. Ma perché i risultati siano validi, è necessario appunto che vada a votare almeno il 50 per cento più uno degli aventi diritto: questo è il quorum, e rappresenta un ostacolo tutt’altro che scontato, specialmente in un clima in cui l’informazione su questi referendum è ancora scarsa. Vediamo nel dettaglio i cinque quesiti.
Il primo quesito, quello della scheda gialla, affronta il tema della cittadinanza italiana per chi è nato in un Paese extraeuropeo. La legge attuale prevede che uno straniero residente in Italia possa fare domanda dopo dieci anni di residenza legale e continuativa.
Chi vota SÌ chiede di dimezzare questo periodo, portandolo a cinque anni. Si tratta di una proposta che vuole favorire l’inclusione, in particolare per chi vive da anni in Italia, lavora, paga le tasse, ma non ha ancora accesso alla cittadinanza.
Chi vota NO, invece, ritiene che i dieci anni siano un criterio ragionevole per valutare il legame con il Paese, e vuole che le cose restino come sono.
Licenziamenti illegittimi: reintegro o solo indennizzo?
Con il secondo quesito (scheda verde) si entra nel cuore della riforma del lavoro introdotta dal Jobs Act nel 2015. Una delle novità di quella legge è stata la riduzione del diritto al reintegro per i lavoratori licenziati senza giusta causa: oggi, nella maggior parte dei casi, si riceve solo un’indennità economica. Il referendum propone di ripristinare l’obbligo di reintegro per chi viene licenziato ingiustamente, almeno nelle aziende con più di 15 dipendenti.
Votando SÌ, si tornerebbe a un modello più vicino allo Statuto dei lavoratori del 1970, in cui il giudice poteva ordinare il ritorno al posto di lavoro.
Votando NO, invece, si manterrebbe l’attuale assetto, in cui l’indennizzo è la regola e il reintegro resta un’eccezione.
Piccole imprese: libertà per i giudici o indennizzi fissi?
Il terzo quesito (scheda arancione) riguarda i lavoratori licenziati in aziende con meno di 15 dipendenti, un settore dove oggi la legge prevede che, in caso di licenziamento illegittimo, il giudice possa concedere al massimo sei mensilità di stipendio come indennizzo. Il referendum propone di eliminare questo tetto, lasciando al giudice la piena libertà di valutare caso per caso l’ammontare dell’indennizzo.
Votando SÌ, si dà più potere ai giudici nel tutelare i lavoratori delle piccole imprese.
Votando NO, si conferma il limite massimo oggi previsto dalla normativa.
Contratti a termine: tornano le “causali”?
Il quarto quesito, scheda grigia, entra nel merito della flessibilità contrattuale, ponendo una domanda chiara: le aziende devono sempre motivare l’uso di un contratto a termine, anche quando dura meno di 12 mesi? Attualmente, l’obbligo di specificare la “causale” – cioè la ragione del contratto a termine – scatta solo per quelli più lunghi.
Chi vota SÌ vuole reintrodurre l’obbligo anche per i contratti brevi, in modo da contrastare un uso eccessivo del precariato.
Chi vota NO, invece, preferisce mantenere la flessibilità attuale, secondo cui le aziende possono assumere a termine senza motivazione, purché il contratto duri meno di un anno.
Italia al voto l'otto e nove giugno per cinque referendum abrogativi su cittadinanza e lavoro. Il quarto quesito riguarda la responsabilità in caso di infortuni pic.twitter.com/hAGvSI0uQg
Il quinto e ultimo quesito (scheda rosa) si concentra su un aspetto delicato e spesso drammatico del mondo del lavoro: gli infortuni nei cantieri e nei lavori ad alto rischio. Oggi, in caso di incidente, la responsabilità è in capo all’appaltatore (o subappaltatore), cioè a chi esegue il lavoro. Il referendum propone di estendere la responsabilità anche al committente, cioè a chi affida l’incarico.
Votando SÌ, si chiede che anche chi commissiona il lavoro risponda insieme all’esecutore, per rafforzare i controlli e le tutele.
Votando NO, si lascia la responsabilità solo all’impresa esecutrice, come già previsto dalla normativa vigente.
Un voto poco raccontato, ma decisivo
Nonostante la portata dei temi in gioco, in queste settimane si è parlato molto poco di questi referendum. Molti cittadini non ne conoscono nemmeno l’esistenza, e da diversi ambienti politici sono arrivati segnali che sembrano puntare più all’astensione che alla partecipazione. Eppure, proprio il silenzio rende ancora più importante parlare, informarsi e votare. Scegliere di recarsi alle urne è un diritto fondamentale e un gesto concreto per incidere sulle regole che governano il lavoro e i diritti civili nel nostro Paese.
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