Gianluca Grimalda, lo scienziato che non vuole volare e per questo rischia il licenziamento

L’intervista al ricercatore e attivista di Scientist Rebellion che si rifiuta di volare per il clima. Ora l’istituto in cui lavora lo vuole licenziare.

Aggiornamento del 12 ottobre: ieri, in data, 11 ottobre, il direttore esecutivo dell’Istituto di Kiel per l’economia mondiale (IfW) ha notificato al dottor Gianluca Grimalda la risoluzione del suo contratto di ricerca con l’IfW.

Gianluca Grimalda è un ricercatore dell’Istituto di Kiel per l’economia mondiale (IfW), in Germania. Ha completato un lavoro di ricerca sociale sull’isola di Bougainville, in Papua Nuova Guinea, studiando sul campo il rapporto tra globalizzazione, cambiamenti climatici e coesione sociale. Grimalda è anche un attivista per il clima che ha intrapreso diverse azioni con la rete di Scientist Rebellion, movimento di scienziati nato a Londra nel 2018 – e poi diffusosi in tutto il mondo – che crede nell’efficacia delle azioni di protesta non violente per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’urgenza di intervenire per contrastare l’emergenza climatica.

Grimalda ha scelto di praticare viaggi a ridotte emissioni di CO2 verso i luoghi di ricerca e ciò implica la scelta di mezzi di trasporto alternativi all’aereo, dato l’alto livello di emissioni di gas a effetto serra di questi ultimi. E così è stato anche questa volta: lo scorso inverno, Grimalda è partito per la Papua Nuova Guinea compiendo il viaggio interamente via terra e via mare e imbarcandosi su navi da carico, traghetti, treni e pullman. A settembre sarebbe dovuto tornare in Germania compiendo la stessa tratta a ritroso, ma l’istituto per cui lavora ha imposto allo scienziato il ritorno in aereo, per accorciare i tempi. E lui si è rifiutato. Per questo ora rischia il licenziamento.

La sua storia è apparsa su numerosi giornali internazionali, tra cui il britannico Guardian. Noi di LifeGate lo abbiamo intervistato, per farci raccontare come sono stanno le cose.

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Gianluca Grimalda è un attivista di Scientist Rebellion © Gianluca Grimalda

L’Istituto di Kiel ha richiesto la sua presenza con poco preavviso. E questo ha fatto scattare la minaccia di licenziamento. Come è stata giustificata questa decisione?
A fine settembre, l’istituto ha richiesto la mia presenza fisica negli uffici di Kiel, in Germania, con pochi giorni di preavviso. Questo significava dover viaggiare in aereo, il ché va contro il mio impegno climatico. Dopo essermi opposto alla loro richiesta, venerdì 29 settembre dall’IfW hanno emesso un ammonimento ufficiale, con il quale si richiedeva la mia presenza a Kiel lunedì 2 ottobre, e mi hanno comunicato che la mancata presenza avrebbe comportato il mio licenziamento. Hanno motivato questa decisione con la necessità di rispettare il piano originale di durata della ricerca, che prevedeva il permesso solo fino al 10 settembre.

Cosa è successo? Perché il progetto non è terminato nei tempi stabiliti?
Il mio progetto di ricerca riguarda lo studio della coesione sociale in una remota comunità della Papua Nuova Guinea e come questa può cambiare sotto pressione di fattori esterni, tra cui il cambiamento climatico. 1814 partecipanti provenienti da 30 villaggi di diverse aree di Bougainville hanno preso parte alla ricerca. Il progetto aveva una durata iniziale di 6 mesi sul campo, che però si è prolungato a causa di diverse minacce alla sicurezza che hanno interrotto la ricerca. È successo che alcuni ex combattenti hanno organizzato un blocco stradale, hanno tenuto in ostaggio me e i miei assistenti minacciandoci con i machete, hanno confiscato tutti i nostri effetti personali e hanno chiesto un riscatto per il nostro rilascio. Questo per dire che c’è stato un contrattempo enorme del quale ho prontamente informato i miei responsabili non appena mi è stato possibile. Perciò erano tutti informati dell’accaduto.

Dopo che la sua storia è apparsa su diverse testate internazionali, qual è stata la reazione dell’istituto?
Adesso mi ritrovo come in un limbo. Sono determinato a rispettare il mio piano di viaggio lento, via terra e sono pronto ad affrontare tutte le conseguenze legali ed economiche di questa decisione. L’istituto non si aspettava questa reazione mediatica e quindi adesso stanno tergiversando. Considerata l’emergenza climatica in cui ci troviamo, trovo irragionevole che IfW abbia posto questo ultimatum e questa punizione. Poiché non insegno e le riunioni possono essere tenute online, non c’è niente che richieda la mia presenza a Kiel. Posso lavorare efficacemente anche in viaggio. Mi sono offerto di andare in congedo non retribuito per la durata del viaggio o comunque per il tempo che IfW ritiene più opportuno. Ma hanno rifiutato anche questa mia offerta e di fatto hanno trattenuto il pagamento del mio stipendio di settembre senza darmi alcun preavviso.

Parliamo del viaggio lento, via terra, dall’isola di Bouganville fino a Kiel. Come è strutturato?
Io mi trovo attualmente nel villaggio di Buka, a Bougainville, in attesa di imbarcarmi su una nave cargo per la prima parte del viaggio. Una volta arrivato nell’isola centrale di Papua, viaggerò via mare fino in Singapore e poi da lì attraverserò la Cina, il Pakistan e l’Iran, poi la Turchia e poi arriverò in traghetto in Grecia, dove con un altro traghetto arriverò in Italia e proseguirò in treno fino in Germania. Un viaggio che dovrebbe durare, salvo imprevisti, circa 45 giorni. Aggiungo che gli incontri e le conoscenze intraprese durante il viaggio sono molto arricchenti per il mio lavoro. D’altronde sono 13 anni che opto per i viaggi lenti e sono 10 anni che lavoro per l’istituto di Kiel. Conoscono bene il mio approccio ambientale e sociale. Questo rende ancora più assurda la situazione che si è venuta a creare e che mi ha spinto a reagire. In ultima analisi, si tratta anche di una questione di salute mentale: il mio stato psicologico non può che essere descritto come di ansia climatica, e volare non può che peggiorare questa condizione.

Quante emissioni è in grado di evitare un viaggio così strutturato e come ha eseguito i calcoli?
Ho calcolato che il mio viaggio ridurrebbe le emissioni di GhG di un fattore pari a 10, poiché l’aereo emetterebbe quattro tonnellate di GhG, mentre il viaggio lento 400 chilogrammi. I miei calcoli si basano su tabelle di conversione del ministero dell’ambiente britannico e sono stati resi accessibili pubblicamente (qui il link, ndr).

Cosa le hanno suggerito colleghi e familiari?
A dir la verità ho ricevuto sostegno da pochi colleghi. In molti mi hanno detto di lasciar perdere, di non rischiare il posto di lavoro. Ma io ho pensato che se tutti la pensano così, allora la mia poteva essere davvero un’azione straordinaria. Spero che la mia decisione di rischiare di perdere il lavoro contribuisca a rompere il muro di apatia, indifferenza e avidità che circonda il riscaldamento globale. Anche se non dovessi riuscirci, sarò soddisfatto perché avrò rispettato la cosa più morale da fare, cioè ridurre al minimo le emissioni di CO2 del mio viaggio.

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