
Ha dato il via ai concerti ad alta quota ben 28 anni fa distinguendosi sin dall’inizio per il rispetto delle terre alte. Sancito anche da un manifesto.
Tredici tracce che raccontano le storie toccanti e spesso orribili dei rifugiati del campo profughi di Calais. The Calais sessions è un album ricco di speranza e bellezza, in un luogo dove speranza e bellezza sono molto difficili da trovare.
The Jungle (la Giungla) è il nome con cui viene chiamato il campo di migranti più grande d’Europa nei pressi di Calais, Francia. Nato più di dieci anni fa, di fatto il campo è il capolinea per i richiedenti asilo che tentano di entrare in Gran Bretagna.
Negli scorsi mesi il campo ha dovuto far fronte a una delle emergenze più gravi dovuta all’esodo di centinaia di migliaia di profughi dalla Siria e dall’Afghanistan attraverso l’Europa. Dopo dure repressioni da parte delle autorità, il campo è ora abitato da circa 4.500 persone provenienti soprattutto da Siria, Afghanistan e Sudan.
Nell’area dove in precedenza sorgeva una discarica e dove ora migranti e rifugiati vivono (in mezzo a vecchi depositi di rifiuti), è stato registrato il disco The Calais Sessions: un album rilasciato il 29 luglio scorso che coinvolge circa venti rifugiati musicisti dilettanti, supportati da musicisti professionisti volontari provenienti da tutta Europa.
Tredici tracce che parlano d’amore, ma anche di sacrifici e lotte, per un connubio di musiche che spaziano dalle melodie del Medio Oriente, al pop e al rap, fino ad arrivare ai ritmi balcanici.
Il progetto utilizza la musica come veicolo di espressione delle storie – il più delle volte terribili – dei rifugiati del campo, ma ha anche lo scopo di far avvicinare alla musica chiunque, unendo le varie etnie presenti nel campo e donando ai rifugiati qualche momento di bellezza, in un luogo dove questa è molto difficile da trovare.
Per esempio, troviamo il rap d’amore University Story cantato dal ventiquattrenne iracheno Kasper che, prima di attraversare l’Europa e arrivare a Calais, era creatore di gioielli a Baghdad e rapper per passione.
O Ismail, un afgano perseguitato in patria dai talebani per aver suonato la dambora, la lunga chitarra afgana. Nel disco, Ismail suona uno strumento simile a un violoncello fabbricato con scarti trovati all’interno del campo. Sul sito The Calais sessions, Ismail ha scritto:
I talebani mi hanno sentito suonare un giorno a casa mia. Per punizione, hanno messo il mio braccio destro nell’acqua bollente, perché quello è il braccio con cui suono.
Le canzoni del disco sono state tutte eseguite e registrate all’interno del campo, in uno studio di registrazione improvvisato e grazie al supporto di Damien Barrière-Constantin, ingegnere del suono professionista e uno dei membri fondatori del progetto The Calais sessions insieme a Vanessa Lucas-Smith, violoncellista nella Allegri Quartet di Londra.
Il disco è disponibile su Bandcamp e tutti i proventi derivati dalle sue vendite saranno devoluti a organizzazioni e associazioni di beneficenza che lavorano all’interno del campo di Calais, in particolare per il ricongiungimento con i propri parenti nel Regno Unito dei bambini non accompagnati.
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