Terre des Hommes

La voce di una giovane siriana contro i matrimoni precoci

Una giovane rifugiata siriana di 14 anni che vive nel campo di Zaatari ha deciso di ribellarsi al fenomeno delle spose bambine. Ecco la sua storia, in occasione della Giornata internazionale dei diritti delle bambine.

Omaima Hoshan vive con la sua famiglia nel campo profughi di Zaatari, in Giordania, dal 2012. Un giorno, la sua migliore amica neanche tredicenne non si è più presentata a scuola perché concessa in sposa dalla famiglia a un cugino di 18 anni. Da quel momento Hoshan inizia a notare come molte sue coetanee siano costrette ad affrontare lo stesso destino, fatto di abusi e di abbandono.

Tornata a casa Hoshan confida al padre il profondo senso di ingiustizia che le muove dentro. Vuole, deve fare qualcosa. Incoraggiata dal padre, inizia a parlare con le sue coetanee spronandole ad affrontare l’argomento con i propri genitori. Ma non si ferma qui: grazie al supporto di ong impegnate a combattere il fenomeno, organizza dei workshop e delle sedute di sensibilizzazione sui rischi legati al matrimonio precoce. Durante i suoi laboratori, Omaima Hoshan vuole diffondere consapevolezza sulle conseguenze mediche e sociali di questo fenomeno: più alti rischi di mortalità materna e di complicazioni durante la gravidanza dovute alla immaturità fisica delle bambine, unito a più alti tassi di violenza domestica, abbandono degli studi ed emarginazione sociale.

Il fenomeno delle spose bambine è in aumento in Giordania

L’età legale per sposarsi in Giordania è 18 anni secondo quanto stabilito dalla Convenzione internazionale per l’eliminazione della discriminazione contro le donne ratifica nel 1992. Tuttavia, in specifiche circostanze, il giudice può decidere di autorizzare il matrimonio di minori. Sebbene “solo” l’8 per cento delle bambine giordane vengano date in sposa prima dei 18 anni ( secondo dati Unicef), il fenomeno è in drammatico aumento per le giovani rifugiate siriane ospitate nel paese (+20 per cento dal 2011). Le ragioni di questo dato riguardano soprattutto il tentativo delle famiglie di alleviare la loro condizione di estrema povertà: dare in sposa le figlie significa, per i genitori, alleggerire il peso economico e insieme proteggere le ragazze dal rischio di incorrere in abusi sessuali, molestie e altre forme di violenza legate alle condizioni di vulnerabilità e fragilità della popolazione rifugiata.

Omaima (sinistra) diffonde consapevolezza sui rischi dei matrimoni precoci ai suoi compagni di scuola, presso il campo profughi di Zaatari, Giordania © UNHCR/Annie Sakkab
Omaima Hoshan (sinistra) diffonde consapevolezza sui rischi dei matrimoni precoci ai suoi compagni di scuola, presso il campo profughi di Zaatari, Giordania © UNHCR/Annie Sakkab

“Quando vedo sposarsi giovani ragazze rifugiate del campo di Zaatari, al di sotto dell’età legale, mi spavento. Le ragazze del mio Paese hanno perso il loro futuro, si è distrutto. È qualcosa che non posso accettare” (Omaima Hoshan)

“Mi voglio sposare, quando decido io”

Anche Omaima vorrebbe sposarsi un giorno, ma alle sue condizioni: “Accadrà dopo che avrò finito di studiare e sarò andata all’università”, racconta all’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), “spero che per quel giorno non vivrò più a Zaatari.” Per permettere a Omaima di realizzare il suo sogno Terre des Hommes Italia e numerose altre ong internazionali si sono unite nella coalizione Girls not brides, un movimento globale a favore dell’eliminazione del matrimonio precoce. L’11 ottobre, in occasione della Giornata internazionale dei diritti delle bambine, Terre des Hommes Italia lancia la campagna #Indifesa, per proteggere le bambine e le giovani donne del mondo e garantire loro un futuro libero da ogni forma di abuso.

Foto di copertina © Terre des Hommes Italia

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