Con la rendicontazione di sostenibilità le imprese europee più inquinanti hanno vita breve

Una nuova normativa europea chiede alle imprese di fornire informazioni standardizzate e comparabili su sostenibilità, diritti umani e lavoro.

  • L’Unione europea ha fortemente voluto una normativa che obbliga le imprese a rendere pubblici e comparabili informazioni riguardanti l’impatto ambientale e sociale della propria attività
  • Sarà in vigore dal 2024, in maniera progressiva a seconda della dimensione dell’impresa, e riguarderà oltre 50mila grandi aziende e pmi
  • La volontà è di promuovere, attraverso attività più responsabili e trasparenti, una crescita economica e sociale che sia veramente sostenibile

Per le aziende sarà sempre più difficile inquinare. Perché? Perché è stata approvata una normativa europea che impone alle grandi imprese e alle società quotate in Borsa di divulgare informazioni sulla sostenibilità delle loro attività e su eventuali rischi che ne deriveranno.

La normativa europea sulla rendicontazione di sostenibilità

Il nuovo alleato nella promozione di un’industria più sostenibile è la Corporate sustainability reporting directive, la direttiva europea Csrd sulla rendicontazione di sostenibilità. Perché l’Unione Europea ha voluto questa norma? Lo dice lei stessa, nella pagina dedicata: perché vuole aiutare investitori, organizzazioni della società civile, consumatori e politici a mettere sotto la lente d’ingrandimento le prestazioni di sostenibilità delle aziende per promuovere una crescita economica globale sostenibile.

L’iter legislativo è stato piuttosto breve: nel 2021 la proposta legislativa avanzata dalla Commissione europea, nel 2022 l’accordo tra Parlamento e Consiglio europei e nel novembre dello stesso anno l’intesa sugli standard di reporting delle iniziative sostenibili. Approvata in Consiglio europeo e pubblicata in Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea lo scorso 16 dicembre, la Csrd sarà applicata a partire dall’anno finanziario 2024. Andrà a colmare le lacune della legislazione attuale sulla dichiarazione di informazioni non finanziarie, la Non-financial reporting directive (Nfrd).

La cornice è quella del Green deal europeo e l’alleato il Green deal industrial plan<, il piano industriale europeo per la neutralità climatica. Le bussole sono gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Onu e il contenimento dell’aumento della temperatura globale fissato nell’Accordo di Parigi.

Imprese più sostenibili: ecco come

In concreto, la normativa vuole spingere le imprese a essere più trasparenti e a fissare degli standard per informazioni non strettamente finanziarie così da poterle comparare tra loro. Queste aziende dovranno seguire alcuni nuovi criteri per la stesura della reportistica: gli European sustainability reporting standards (Esrs) prodotti dal gruppo di lavoro European financial reporting advisory group (Efrag).

Le informazioni raccolte, riguardanti il proprio operato in tema di impatto sull’ambiente, governance, responsabilità sociale, condizioni del lavoro e diritti umani, saranno qualitative e quantitative, di breve, medio e lungo termine e compariranno nel bilancio annuale. Così da offrire una fotografia complessiva e il più possibile trasparente.

Come scrive la Commissione europea sul sito, “le nuove norme, già concordate con i governi europei, renderanno le imprese più responsabili nei confronti dei cittadini, obbligandole a pubblicare regolarmente i dati relativi al loro impatto sociale e ambientale”. Stimolo che “dovrebbe aiutare ridurre il greenwashing, rafforzare l’economia sociale del mercato UE e gettare le basi per standard di trasparenza sulla sostenibilità a livello mondiale”.

E se transizione digitale fa rima con transizione energetica ecco che la Csrd rende obbligatorie la digitalizzazione e la verifica da parte di enti indipendenti delle informazioni riportate in tema di sostenibilità, così da garantirne l’affidabilità.

Quali saranno le aziende interessate

Sono circa 50mila le aziende che saranno tenute a scrivere una rendicontazione di sostenibilità, pari a circa i tre quarti delle attività nello Spazio economico europeo. Una chiamata alla trasparenza e alla sostenibilità per, come anticipato, tutte le grandi aziende e le Piccole e medie imprese quotate in borsa, tranne le microimprese con meno di 10 dipendenti o meno di 20 milioni di euro di fatturato. A queste si aggiungono le imprese extracomunitarie con 150 milioni di euro nell’UE di fatturato netto di e con almeno una filiale o una succursale nell’Unione Europea.

L’obbligo di rendicontazione sarà scadenzato: da gennaio 2024 interesserà le grandi imprese di interesse pubblico, che contano oltre 500 dipendenti, già tenute dalla normativa europeo a stilare la rendicontazione non finanziaria. Per le grandi imprese non ancora soggette all’obbligo si partirà da gennaio 2025. Nel gennaio 2026 si partirà con le Pmi, tranne quelle che sceglieranno di posticipare l’adesione al 2028, e le altre imprese quotate.

In una lettera congiunta, il mondo dell’associazionismo, tra cui il WWF e Transport and Environment, lancia alcuni avvertimenti. Innanzitutto, richiama alla puntualità: qualsiasi ritardo nella raccolta dei dati – che dovrebbe partire il 1° gennaio 2023 per le aziende tenute alla rendicontazione dal 2024 – potrà indebolire il sostegno delle aziende e degli operatori del mercato finanziario alla transizione sostenibile e al raggiungimento degli obiettivi fissati nel Green deal.

I firmatari, poi, si dicono disponibili ad aiutare la stesura dei criteri di sostenibilità per far sì che l’intero “spettro delle questioni ESG (environmental, social and governance)” sia coperto e non ci si concentri unicamente “sulle informazioni rilevanti per il valore d’impresa”. Infine, sottolineano che il lavoro tecnico per lo sviluppo degli standard di rendicontazione della sostenibilità aziendale dovrà essere sostenuto dai finanziamenti pubblici, al fine di garantire “la fattibilità e la trasparenza del processo di definizione degli standard, senza pregiudizi e interessi indebiti”.

La normativa sulla rendicontazione di sostenibilità, in conclusione, rappresenta un vero salto culturale, perché fa leva sulla capacità di valutare l’operato di un’impresa non solo sul suo successo economico ma anche sull’adozione di misure e strumenti che contribuiscono allo sviluppo del territorio. Inoltre, potrà aiutare le imprese a capire, progressivamente, quali temi rilevanti includere nella propria rendicontazione sia sulla base degli effetti prodotti sui propri interlocutori che dei benefici generati sull’ambiente.

La speranza è che questa transizione sostenibile sia anche democratica e meritocratica nella sua attuazione: come osservano le associazioni senza scopo di lucro, e riporta il sito d’informazione Energypost.eu, la Csrd rischia di favorire la consulenza delle stesse note società di impronta globale che hanno finora indirizzato le politiche industriali legate ai combustibili fossili e che stanno provando a reclutare tra le proprie fila ambientalisti attivi sul campo. “Molte Ong e alcuni addetti ai lavori dubitano che le grandi società di consulenza siano in grado di fornire risultati concreti finché il loro obiettivo principale rimane quello di massimizzare i profitti dei clienti”. Occhi puntati, dunque, sulle nuove possibili derive legate al greenwashing.

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