Glossario della transizione ecologica

Chimica verde: cos’è e a cosa serve

La chimica verde è un tassello imprescindibile del processo di decarbonizzazione. Tra agricoltura e industria, le sue applicazioni sono numerose.

L’inquinamento si diffonde nell’aria e nell’acqua, impattando sulla salute dell’uomo e del pianeta, senza fare distinzioni. L’inquinamento, insomma, non conosce confini nazionali. Una consapevolezza ormai chiara alla nostra società e che ha spinto la chimica e i processi industriali a scegliere forme più sostenibili per produrre i beni di cui facciamo uso nella quotidianità. La chimica verde è ormai parte imprescindibile dello sviluppo sostenibile e diventa una scelta obbligata per un modello economico che punta alla decarbonizzazione.

chimica-agricoltura
Agricoltore irrora campo con i pesticidi © Ingimage

Cosa si intende per chimica verde

La chimica verde o green chemistry può essere definita come la progettazione di prodotti e processi chimici che riducono o eliminano l’uso e la generazione di sostanze pericolose. Tale approccio si propone di indirizzare i processi di produzione chimica industriale su percorsi più sostenibili di quelli convenzionali. La chiave di volta per raggiungere questo obiettivo sta nel progresso tecnologico che permette di riconvertire vecchie tecnologie inquinanti in nuovi processi puliti, progettando nuovi prodotti industriali eco-compatibili.

La moderna chimica di sintesi dipende ancora in gran parte dalla petrolchimica, dunque utilizza come materia prima i prodotti derivanti dal petrolio. Da quest’ultimo derivano ancora la maggior parte delle plastiche e i prodotti chimici adottati nei settori agricolo e industriale.

Un altro aspetto sul quale si concentra la chimica verde è l’origine delle materie utilizzate. Dato che i combustibili fossili sono fonti soggette a esaurimento, uno degli obiettivi della chimica verde diventa quello di ridurre il più possibile i consumi, gli sprechi energetici e di utilizzare fonti rinnovabili per il funzionamento degli impianti industriali.

Storia della chimica verde: i 12 princìpi

Una prima formulazione del concetto di chimica verde proviene dal movimento cosiddetto della chemiurgia, nato negli Stati Uniti negli anni Trenta, il cui concetto era quello di integrare l’industria chimica a materie prime agricole e naturali, facendo uso esclusivamente di risorse rinnovabili e senza recare danno all’ambiente.

Leggi anche:

La locuzione “chimica verde” fu invece coniata nel 1991 dal chimico e docente dell’università di Berkley Paul Anastas, oggi direttore del Center for green chemistry and green engineering a Yale. Nato e cresciuto a Quincy, in Massachusetts, durante l’adolescenza Anastas conobbe quello che sarebbe poi diventato il cofondatore della green chemistry, John Warner. I due, da allora, hanno scritto svariati articoli, pubblicazioni e libri di carattere scientifico, inclusi i seguenti 12 principi della chimica verde.

  • Prevenzione dei rifiuti: è meglio prevenire i rifiuti che trattarli o ripulirli dopo che sono stati creati.
  • Economia atomica: i metodi sintetici dovrebbero essere progettati per massimizzare l’incorporazione di tutti i materiali utilizzati nel processo e nel prodotto finale.
  • Sintesi chimiche meno pericolose: ove possibile, i metodi sintetici dovrebbero essere progettati per utilizzare e generare sostanze che possiedono poca o nessuna tossicità per la salute umana e l’ambiente.
  • Progettazione di prodotti chimici più sicuri: i prodotti chimici dovrebbero essere progettati per preservare l’efficacia della funzione riducendo al contempo la tossicità.
  • Solventi e ausiliari più sicuri: l’uso di sostanze ausiliarie (per esempio solventi, agenti di separazione ecc.) dovrebbe essere reso superfluo ove possibile e, se risulta necessario, innocuo.
  • Progettazione per l’efficienza energetica: i requisiti energetici dovrebbero essere riconosciuti per i loro impatti ambientali ed economici e dovrebbero essere ridotti al minimo. I metodi sintetici dovrebbero essere condotti a temperatura e pressione ambiente.
  • Uso di materie prime rinnovabili: ogni volta che è tecnicamente ed economicamente fattibile, bisogna scegliere materie prime rinnovaibli.
  • Ridurre i derivati: la derivatizzazione non necessaria (uso di gruppi bloccanti, protezione/deprotezione, modifica temporanea dei processi fisici/chimici) dovrebbe essere minimizzata o evitata se possibile, poiché tali passaggi richiedono reagenti aggiuntivi e possono generare rifiuti.
  • Catalisi: i reagenti catalitici (il più selettivi possibile) sono superiori ai reagenti stechiometrici.
  • Design for degradation: i prodotti chimici dovrebbero essere progettati in modo tale che al termine della loro funzione si decompongano in prodotti di degradazione innocui e non persistano nell’ambiente.
  • Analisi in tempo reale per la prevenzione dell’inquinamento: le metodologie analitiche devono essere ulteriormente sviluppate per consentire il monitoraggio e il controllo in tempo reale durante il processo prima della formazione di sostanze pericolose.
  • Chimica intrinsecamente più sicura per la prevenzione degli incidenti: le sostanze e la forma di una sostanza utilizzate in un processo chimico dovrebbero essere scelte per ridurre al minimo il rischio di incidenti chimici, inclusi rilasci, esplosioni e incendi.

Esempi applicativi della chimica verde

La chimica verde con obiettivi di sostenibilità si applica a diversi settori. Per esempio nella sostituzione dei cosiddetti “ritardanti di fiamma”, usati come additivi di materie plastiche in una varietà di prodotti: arredi, materiali tessili, apparecchiature elettroniche. I ritardanti di fiamma più usati contengono bromo, una sostanza che, oltre ad essere persistente nell’ambiente, è in grado di bioaccumularsi negli organismi e di esercitare effetti nocivi per la salute. Per ovviare a questi problemi, l’industria chimica sta sperimentando soluzioni prive di bromo.

Un altro esempio è rappresentato dai fitofarmaci impiegati in agricoltura: le sostanze di sintesi chimica alla base dei pesticidi sono causa di inquinamento dell’ambiente e hanno un impatto negativo sulla salute delle persone. Una branca della chimica verde è impegnata nel trovare alternative in grado di mantenere gli alti standard del settore evitando però le ripercussioni sull’ambiente e sull’uomo. Inoltre, la produzione di fertilizzanti genera importanti livelli quantitativi di utilizzo della CO2. Stamicarbon, la società del Gruppo Maire Tecnimont, ha sviluppato una tecnologia per la produzione di urea attraverso il recupero e la valorizzazione della CO2.

Ma sicuramente uno dei settori dove la chimica verde sta dando i suoi maggiori frutti è quello dei bioplastiche, cioè plastiche di derivazione naturali: quando si parla di bioplastica ci si riferisce alla plastica che non deriva dal petrolio, ma dagli scarti dell’industria alimentare come i residui della produzione di mais, grano, patate dolci, canna da zucchero, alghe. Per questo motivo, l’impatto sull’ambiente delle bioplastiche è ridotto rispetto a quello delle plastiche tradizionali. Sono organiche, biodegradabili e quindi rappresentano una valida applicazione della chimica verde nel settore industriale.

Un esempio di chimica verde è la soluzione innovativa sviluppata da NextChem per la transizione energetica e la valorizzazione dei rifiuti: il modello del Distretto circolare verde. Si tratta di una piattaforma integrata di tecnologie di chimica verde, tra cui l’upcycling (cioè il riciclo meccanico di qualità di rifiuti plastici), la conversione chimica di scarti plastici e secchi non riciclabili e la produzione di idrogeno verde via elettrolisi. Tale sistema può essere adottato per la riconversione verde di siti industriali tradizionali basati sulle fonti fossili, contribuendo così alla loro transizione ecologica senza ulteriore consumo di suolo e recuperando le grandi competenze tecniche che si trovano in questi luoghi.

Biolubrificanti

Un capitolo a parte meritano i biolubrificanti, prodotti di completa o parziale origine naturale che riducono o azzerano la tossicità per l’ambiente e le specie viventi e sono facilmente biodegradabili. I biolubrificanti presentano caratteristiche di resistenza ormai comparabili a quelle dei prodotti petroliferi, di cui stanno diventando progressivamente i sostituti, prevalentemente nel settore dei trasporti e nell’industria meccanica, e in particolare grazie alle potenzialità di applicazione nei settori del trasporto aereo e marittimo.

I biolubrificanti, infatti, presentano indubbi vantaggi ambientali, rispetto ai lubrificanti convenzionali, sul versante dei cambiamenti climatici, della riduzione dell’ozono e acidificazione delle piogge. Dalle ricerche effettuate dall’Osservatorio sui biolubrificanti per la decarbonizzazione dell’economia, è emerso che il loro utilizzo ha un impatto positivo sulle condizioni di salute per via dell’alta tollerabilità igienico-sanitaria, migliorando le condizioni di pulizia dei locali e la qualità dell’aria percepita. Sono pertanto impiegabili in un’ampia gamma di applicazioni industriali, come l’industria tessile, conciaria, cartaria, metallurgica, metalmeccanica, estrattiva e di escavazione, agroalimentare, farmaceutica e in agricoltura.

Il punto di partenza dei biolubrificanti sono gli scarti di macellazione, da cui si producono i grassi animali, e gli oli. Per citare un caso esistente, nell’unità di produzione di So.G.I.S. progettata da NextChem nel comune di Sospiro (Cremona, Italia) si trasformano oli e grassi in acido oleico, che rappresenta un componente importante dei grassi animali e un costituente abbondante della maggior parte degli oli vegetali. Soprattutto, è un intermedio fondamentale nella produzione di lubrificanti “verdi”, caratterizzati da un’alta biodegradabilità e biocompatibilità. Al contrario dei prodotti di origine fossile, i biolubrificanti non costituiscono un rischio per l’ambiente e generalmente, nel sostituire i derivati del petrolio, non richiedono particolari modifiche di impianto.

raffineria-chimica-verde
La chimica verde può riconvertire impianti industriali inquinanti © Talpa/Pixabay

Limiti della chimica verde

Come in tutti i settori economici e industriali, bisogna tenere presente che non è possibile utilizzare le fonti rinnovabili ad un ritmo più veloce rispetto al tempo necessario per la loro rigenerazione: per esempio, non si possono produrre bioplastiche a un ritmo più veloce di quello richiesto dalla biomasse per rendersi disponibili in natura. Il rischio è quello di andare a esaurire e danneggiare le fonti di origine.

Per far in modo che la chimica verde non entri in contraddizione con i suoi nobili scopi e continui a rappresentare una buona soluzione al problema dell’inquinamento, la sua evoluzione deve seguire di pari passo i consumi energetici senza incrementarli e alla disponibilità di materiali: un impegno richiesto sia da parte delle industrie che da parte dei consumatori.

Siamo anche su WhatsApp. Segui il canale ufficiale LifeGate per restare aggiornata, aggiornato sulle ultime notizie e sulle nostre attività.

Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.

Articoli correlati
Mobilità sostenibile Indipendenza energetica Decarbonizzazione Decarbonizzare i fertilizzanti Cambiamenti climatici