Orizzonte: scuola

Per una nuova visione di futuro. La scuola italiana secondo l’architetto Alfonso Femia

La scuola è il primo luogo in cui una comunità si forma e costruisce il proprio futuro e quello del Paese: le riflessioni dell’architetto Alfonso Femia.

Come una Cenerentola maltrattata e non considerata. Parliamo della scuola pubblica italiana che, a seguito dell’emergenza sanitaria di quest’anno, ha evidenziato una mancanza di visione prospettica sul futuro per carenza e taglio delle risorse necessarie per adeguarla alle esigenze della contemporaneità.

Edifici obsoleti, mancanza di strutture e personale, una riforma mai realizzata di cui si discute da tempo infinito hanno depauperato la scuola delle qualità indispensabili per formare bambini e ragazzi della cosiddetta generazione Z, cioè coloro che sono nati dalla seconda metà degli anni Novanta alla fine degli anni Zero, del primo decennio del nuovo millennio. Il dibattito attualmente in corso riguarda la riapertura delle scuole di settembre e la messa in sicurezza di allievi e insegnanti, ma non prevede iniziative propositive per rivedere e aggiornare il modello funzionale degli edifici.

L’architetto Alfonso Femia ha di recente inviato una lettera aperta dal titolo Far ripartire Milano dalla scuola al Consiglio nazionale degli architetti e al sindaco di Milano Beppe Sala per sensibilizzare le istituzioni a porre la  scuola al centro delle tematiche post Covid-19. Autore di progetti di architettura internazionali, con studio a Genova, Parigi, Roma, forte di una notevole esperienza progettuale di scuole e università, Alfonso Femia è stato direttore del 2019 della Biennale di Pisa, per la quale ha sviluppato una call to action internazionale sul tema da lui proposto, Tempodacqua. L’Acqua dimensione del Tempo.

L'architetto Alfonso Femia
L’architetto Alfonso Femia © Daniel Banner

Qual è l’obiettivo della sua azione per la scuola?
Il mio obiettivo è quello di mettere in evidenza l’importanza degli spazi della scuola e di stimolare politica e governo a mettere in campo iniziative che possano realmente adeguare i luoghi dell’educazione alla situazione contemporanea, alle esigenze delle nuove generazioni, con una visione ampia sul futuro. Occuparsi di scuola significa occuparsi di tutto: di individuo, di famiglia, di lavoro, di pubblico, di privato.

Il progetto per una scuola deve coniugare responsabilità e visione, rapporto con il tempo e senso di appartenenza, dimensione reale e immaginaria legata alle nuove generazioni che la vivranno e che in quei luoghi, di formazione e incontro costruiranno una parte importante della loro vita.

Il luogo della scuola è fatto di dentro e fuori, è l’edificio e il quartiere, il percorso da casa, la condivisione, i momenti ludici, è consapevolezza urbana. La necessità di un’azione pubblica comune nasce dall’esigenza di considerare tutti gli aspetti, senza porre arbitrarie priorità, un’azione pubblica coordinata da una figura professionale con competenza specifica sui luoghi e sulla relazione tra essi, responsabile non solo per i luoghi, ma per l’abitare, il vivere degli individui e per questo generosa nella disponibilità a un dialogo permanente con interlocutori diversi e con la capacità di esprimere progettualità temporalmente dinamiche.

La situazione post-Covid potrebbe essere l’occasione giusta per ripensare la scuola?
In questi mesi è emerso un certo affanno per stabilire quali potranno essere le nuove forme del vivere, abitare, lavorare, divertirsi nella dimensione collettiva. Poco o nulla si è detto per quando riguarda i luoghi dell’educazione, forse proprio perché l’erogatore principale dell’investimento è la pubblica amministrazione, nonostante la presenza di scuole e università private in Italia e nel mondo non sia trascurabile. Volutamente non uso il termine scuola, non per un auto-compiacente indugio sulla perifrasi, ma per renderne più chiaro il significato: i luoghi dove si apprendono principi intellettuali e morali coerenti all’individuo nella società. La sicurezza è un pre-requisito in termini assoluti, non c’è merito per l’aspirazione a qualcosa che dovrebbe essere incorporato nell’organizzazione degli spazi, a monte della programmazione. Così in questo momento “l’acutissima” visione post-Covid, in ordine alla sicurezza e in previsione di una riapertura a settembre, è quella di ingressi scaglionati e doppi turni. Ovvero una non- visione.

Alfonso Femia Annecy
MAPI centro di formazione e ricerca dell’Università di Annecy, in Francia, un progetto sostenibile ed efficiente © Atelier(s) Alfonso Femia & Diorama

Come vorrebbe che fossero i luoghi dell’educazione gli appartenenti alla generazione Z?
Prima di tutto luoghi aperti e permeabili, generosi. In termini progettuali, l’idea è quella di immaginare luoghi senza perimetro, di portare il paesaggio dentro l’edificio ma anche di disegnare volumi che consentano il processo inverso e dunque che la scuola sia paesaggio. Uno dei luoghi fondativi della città, dei territori, delle comunità. Al posto della parola integrazione nel luogo, applicando il principio dell’ambivalenza: la scuola contiene una piazza ambientale ed è scenario interattivo dell’ambiente urbano.

Cosa significa per lei scuola aperta?
L’effetto rinascimentale, augurandoci che ci sia, del post-Covid contiene in sé la potenzialità di ribaltare le logiche dell’architettura scolastica, abbandonando la costruzione dell’edificio e lasciando posto a isole aperte, passanti, in grado di accogliere l’evoluzione della didattica, di favorire le relazioni tra chi insegna e chi impara. Cito Peter Sloterijk nel libro Spheres III: “La costruzione di isole è l’inverso dell’habitat non si tratta più di collocare un edificio dentro l’ambiente, ma di installare, creare, realizzare un ambiente nell’edificio”.

Ricomporre la relazione tra i modi dell’apprendere e dell’educare e la definizione formale del contesto è, dunque, un tema di grande responsabilità professionale e di approfondimento sulle logiche di relazione, scambio e crescita, calate nell’evoluzione più ampia del contesto sociale. La scuola è un luogo dove la materia e il tempo devono essere parte fondativi del progetto.

Alfonso Femia Università di Avignone
Aula, Università di Avignone. Ristrutturazione del sito Pasteur e la creazione di “Villa Créative” © Atelier Femia

In Italia, è mai stato fatto un progetto di revisione funzionale degli edifici scolastici?
Negli edifici di nuova progettazione questi criteri progettuali vengono già applicati, se il progettista e il committente sono sensibili, altrimenti le regole o la loro traduzione asettica impongono spesso il contrario. Ma il problema è rappresentato dal patrimonio di edilizia scolastica esistente, edifici dagli anni cinquanta agli anni ottanta ed edilizia storica vincolata. Diamo una dimensione numerica: secondo il Miur sono più di 40mila le sedi scolastiche statali alle quali si aggiungono circa 12mila paritarie censiti al 2019. La distribuzione geografica conta quasi 14mila edifici scolastici nel nord ovest e più di 9mila nel nord est, più di 16mila al sud, più di 10mila nell’Italia centrale e quasi 8mila nelle isole.

La maggior parte delle scuole si trova nei centri urbani ad alta densità di utenza ed è legata a schemi progettuali che erano la risposta a modelli didattici ed educativi di parecchi decenni fa. Sulle 40mila scuole statali, il 4 per cento è stata costruita tra il 1700 e il 1800, il 4 per cento tra il 1900 e il 1920, l’8 per cento tra il 1921 e il 1945, dunque il 16 per cento di edifici risale a prima della seconda guerra; il 12 per cento tra il 1940 e il 1960 e il 27 per cento dal 1960 al 1975 (diciamo che poco meno del 40 per cento degli edifici scolastici è stato pensato prima del rivoluzione studentesca), solo il 32 per cento delle scuole è stato costruito dal 1976 in avanti. Gli edifici non sono mai stati ripensati, al massimo adeguati sotto il profilo della sicurezza (solo l’8 per cento degli edifici è progettato secondo la normativa antisismica e il 54 per cento si trova in zone a rischio sismico).

Alfonso Femia UNI Avignone
Università di Avignone, la ristrutturazione del sito Pasteur con creazione della ‘Villa Créative’ , 2018, in corso d’opera © Atelier Femia

Qual è la sua visione progettuale per un edificio scolastico ideale?
Concretamente il progetto della scuola post Coronavirus dovrebbe svilupparsi su tre punti essenziali: un edificio cellulare (non un edificio unico) con aree organizzate per diverse funzioni; l’intorno dovrà essere colonizzato (piste ciclabili, spazi dedicati se ci sono parchi pubblici di prossimità); filtri verdi, con diverse funzioni di rapporto con la città, e i diversi momenti della giornata e della ampia e articolata comunità che si muove intorno alla scuola, la vive, l’attraversa, la supporta, la gestisce, la sogna. In sintesi, l’obiettivo è che la nuova scuola sia un ecosistema composto da spazi di relazione, grandi corti e luoghi aperti per la didattica e non solo per lo svago, come l’intervallo. Ripensare gli spazi o pensare scuole nuove non significa fare edifici con grandi giardini, ma creare relazione tra la scuola e il quartiere, attraverso posizioni e percorsi protetti che consentano un’interazione tra gli studenti e i luoghi limitrofi.

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