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Ortega Y Gasset fa intendere che l’innamoramento è una malattia dell’attenzione. Non è così per l’amicizia: un distacco meno esplosivo mitiga la passione
Ortega Y Gasset fa chiaramente intendere che l’innamoramento è una malattia dell’attenzione. Siamo, infatti, concentrati solo sulla persona amata, dimentichi di tutto il resto.
Non avviene la stessa cosa nell’amicizia, dove la componente passionale risulta mitigata da un distacco “meno esplosivo”. Insomma, mentre nell’amore la componente emozionale, la tavola dei valori, gli impulsi e le vibrazioni “forti” dell’anima seguono sentieri “selvaggi”, nell’amicizia il tragitto è più lieve e meditato.
La fiducia e i sentimenti morali abitano l’amicizia come luoghi consueti; nel territorio di eros, invece, come ha più volte ribadito Alberoni, siamo al di la del bene e del male -posso amare anche una persona priva di alcuni fondamentali principi etici. Nell’amicizia, invece, no-.
Potremmo declinare l’amicizia nei termini della scelta spontanea e disinteressata: quando essa è autentica, infatti, non è mai imposta e, soprattutto, seguendo la tradizione socratico-platonica, si costituisce come “sfregamento di anime”.
Nasce, appunto, nella dimensione dell’anima, della virtù, e per questo rifugge ogni impulso egoistico: mi dono a te senza calcoli, senza meschinità, senza maschere demistificanti. Il termine sfregamento indica, però, un rapporto non sdolcinato, bensì ruvido, talvolta conflittuale, aspro -tra amici sono frequenti opinioni diverse, quando non antitetiche- ma la carne viva di cui è fatta l’amicizia, il suo midollo, è l’affetto profondo e una stessa visione della vita, secondo comuni valori.
L’amicizia è, inoltre, continuamente alimentata dalla fiducia, senza la quale verrebbe meno lo stesso rapporto amicale. Ci sono, poi, rispetto a questa forma autentica di amicizia, altre forme “deviate” o, se preferite, meno pure. Intendo riferirmi ai rapporti fondati sull’interesse, cioè a quel sistema di relazioni mondane in cui l’altro serve o ad esaltare narcisisticamente il nostro io, oppure a garantirci dei vantaggi immediati o futuri.
Insomma il volto dell’altro come mezzo, strumento e non come fine: qui non solo non c’è amicizia, ma neppure rispetto per la dignità dell’altro, vuoto contenitore delle nostre esigenze. Infine, arriviamo alla vera e propria inimicizia, che, tuttavia, non è del tutto inutile. Lo ha sottolineato in modo paradigmatico Natoli: “Gli amici molto spesso, per non dispiacerci, non ci riprendono quando sbagliamo…i nemici, al contrario, non ne lasciano passare una…per tal via ci rendono migliori”. Non solo, continua Natoli, grazie ai nemici, “evitiamo di cadere negli errori in cui essi cadono”.
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