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Vi ricordate il terzo film di Indiana Jones, quello che iniziava con i trafficanti di reperti che tentavano di trafugare la croce d’oro di Coronado con Indy (allora boy scout) che era finito nei guai per recuperare il pezzo, convinto che dovesse stare in un museo? In quel caso avevano vinto i trafficanti. Stavolta, con
Vi ricordate il terzo film di Indiana Jones, quello che iniziava con i trafficanti di reperti che tentavano di trafugare la croce d’oro di Coronado con Indy (allora boy scout) che era finito nei guai per recuperare il pezzo, convinto che dovesse stare in un museo? In quel caso avevano vinto i trafficanti. Stavolta, con l’operazione “Teseo” condotta in questi mesi dal Comando dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale, no.
In una conferenza stampa che si è tenuta ieri, il ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Dario Franceschini, e il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo, hanno infatti annunciato il maxi recupero di 5.361 reperti archeologici trafugati in Italia e portati in Svizzera per un valore complessivo superiore ai 50 milioni di euro.
I pezzi di questo “tesoro” saranno riportati nei musei delle loro regioni d’origine, anche se prima il ministro ha ipotizzato una esposizione temporanea dell’insieme dei reperti. Per il momento sono nella sede del Museo nazionale romano delle Terme di Diocleziano. Purtroppo però – proprio come nel film – anche in questo caso la vittoria non è tutta dei nostri carabinieri: nessuno infatti verrà punito, né per i furti, né per la ricettazione.
Andiamo con ordine: nel corso degli anni, diversi “tombaroli” hanno trafugato vasi, statue e reperti archeologici vari di epoca compresa tra il VIII secolo a.C. e il III secolo d.C da scavi clandestini in tutta italia, ma soprattutto in siti di Puglia, Sicilia, Sardegna e Calabria.
Da questi luoghi, i pezzi prendevano la via della Svizzera: nella città di Basilea venivano restaurati e poi venduti, corredati di false documentazioni e autorizzazioni, a privati o a istituzioni in Stati Uniti, Giappone, Australia, Inghilterra e Germania.
Responsabili della ricettazione sono un imprenditore italiano, Gianfranco Becchina, e sua moglie, che a Basilea avevano ben cinque magazzini colmi di pezzi antichi e faldoni di documenti falsi. Sono stati individuati grazie a un’inchiesta che ha portato al recupero di un cratere a figure rosse, dipinto dal pittore magnogreco Assteas, che si trovava al Getty Museum di Malibù. Da qui, le indagini hanno ricondotto ai due.
Arrestati, sono già a piede libero perché appunto non possono essere incriminati per la ricettazione, che è prescritta. I trafugatori non verranno mai nemmeno cercati.
Perché hanno fatto una cosa grave? Due motivi: il primo è scientifico, legato allo studio dei pezzi; il secondo, forse più grave in tempo di crisi, è economico e sociale, legato alla fruizione dei reperti nei musei delle regioni di provenienza. In pratica: trafugare i reperti archeologici distrugge il territorio e penalizza il turismo, con ricadute economiche negative sul Paese.
Sull’inadeguatezza della normativa si è espresso anche il ministro Franceschini, sostenendo di aver intrapreso un dialogo con il ministero della Giustizia sulla necessità di inasprire le pene.
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