
Pascal ci offre un’altra illuminante pagina sulla falsa felicità.
Secondo Aristotele l’uomo che sa vivere in modo contemplativo, quindi capace di seguire la sua natura di essere razionale, conseguirà la perfetta felicità
L’opera più rilevante di Aristotele nel campo della morale è l'”Etica Nicomachea”, nella quale il Nostro filosofo discute con inimitabile forza speculativa sull’essenza e il fine della felicità.
Aristotele arriva a stabilire la funzione, l’opera propria dell’uomo per esclusione: essa non consiste nella vita vegetale, crescita e nutrizione, propria anche delle piante, bensì nella vita razionale, nell’attività del puro pensiero, capace di renderci, in quanto esseri contemplanti, autosufficienti. Ecco le sue precise parole: “Noi pensiamo che il piacere sia strettamente congiunto con la felicità, ma la più piacevole delle attività conforme a virtù è, siamo tutti d’accordo, quella conforme alla sapienza; in ogni caso, si ammette che la filosofia ha in sé piaceri meravigliosi per la loro purezza e stabilità, ed è naturale che la vita di coloro che sanno trascorra in modo più piacevole che non la vita di coloro che ricercano. Quello che si chiama “autosufficienza” si realizzerà al massimo nell’attività contemplativa”.
L’uomo che sa vivere in modo contemplativo, poiché capace di seguire la sua natura più propria di essere razionale, conseguirà anche la perfetta felicità, rendendosi quasi simile agli dèi: “Ma una vita di questo tipo sarà troppo elevata per l’uomo: infatti non vivrà così in quanto è uomo, bensì in quanto c’è in lui qualcosa di divino: e di quanto questo elemento divino eccelle sulla composita natura umana, di tanto la sua attività eccelle sull’attività conforme all’altro tipo di virtù. Se, dunque, l’intelletto in confronto con l’uomo è una realtà divina, anche l’attività secondo l’intelletto sarà divina in confronto con la vita umana”.
Insomma, l’intelletto è una realtà divina, quindi vivere secondo l’intelletto, cioè nella dimensione contemplativa, significa assimilarsi agli dèi.
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