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Nel giro di 24 ore Bologna si è ritrovata senza le opere di uno dei suoi artisti più noti. Blu cancella i suoi murales contro una mostra che li trasformerà in arte da museo.
Murales giganti oscurati da una vernice grigia, opaca. Gruppi di persone che, mascherine sul volto, staccano l’intonaco usando scalpelli. Questa è la fine che hanno fatto i lavori di Blu, street artist di fama internazionale, nella sua città: Bologna. Verrebbe da pensare a un intervento del comune contro l’imbrattamento – in realtà è l’artista stesso ad aver organizzato l’operazione di distruzione delle sue opere che, negli ultimi vent’anni, avevano trasformato muri anonimi in capolavori. Dietro al gesto c’è il rifiuto a riconoscere e accettare la presenza dei suoi lavori nella mostra Street Art – Banksy & Co. visitabile dal 18 marzo a Palazzo Pepoli, a Bologna. Un “no” chiaro e forte contro l’arte di strada che diventa arte da museo.
Dell’artista non si sa molto, neanche il nome. Si sa che è nato a Senigallia e che le sue ossa da artista le ha fatte nel capoluogo emiliano. Ha dipinto murales in tutto il mondo raffiguranti soggetti accomunati da una critica tagliente del capitalismo e del denaro. Sostiene lotte sociali, per la tutela dell’ambiente e per la restituzione degli spazi pubblici ai cittadini dei quartieri urbani.
Nel 2013 ha dipinto la facciata del centro sociale Xm24 a Bologna che rischiava di essere demolita per far spazio a una rotonda. Il comune ha così deciso di lasciare l’edificio intatto, salvando anche l’opera di Blu. I temi scelti per quel murale esprimono al meglio la sua identità come artista: una battaglia epica, ispirata al Signore degli Anelli, che contrapponeva le forze del male, ovvero quelle alla ricerca del profitto, contro quelle del bene, cioè i movimenti sociali che si battono per la giustizia e la libertà.
Ed è proprio questo murales che, tra l’11 e il 12 marzo, è stato – insieme ad altri – cancellato per sempre con l’aiuto di persone dei centri sociali Xm24 e Crash.
Questo atto estremo è seguito al “trasferimento” su tela di tre opere di Blu per essere esposte alla mostra Street Art – Banksy & Co. che ospita più di 250 lavori, tra cui di Banksy. L’obiettivo dell’iniziativa, secondo gli organizzatori, è salvare le opere “dalla demolizione e preservarle dall’ingiuria del tempo”, in alcuni casi senza il permesso di chi le ha realizzate.
“Glielo abbiamo chiesto e non ha risposto”, ha affermato Christian Omodeo, uno dei curatori della mostra, riferendosi alla richiesta di autorizzazione per l’utilizzo dei lavori di Blu. E qui si accende la contraddizione fondamentale della faccenda: a chi appartiene l’arte di strada?
C’è chi sostiene che le opere di street art appartengano ai proprietari dei muri dove si trovano. Nel 2013 un murales di Banksy scomparve da una parete di Londra, Regno Unito, e riapparve in un’asta a Miami, Stati Uniti: il padrone dell’edificio l’aveva venduto a un mercante d’arte. Altri pensano che i pezzi d’arte urbana siano dei cittadini dei luoghi dove sono stati creati. Qui però sorge un altro dubbio: tutti i cittadini hanno uguale diritto a fruirne? Nel 2014 Blu ha cancellato i murales creati tra il 2007 e 2008 nel quartiere Kreuzberg di Berlino, in Germania, per protestare contro l’innalzamento dei prezzi immobiliari che aveva costretto i suoi residenti originari a trasferirsi.
” WHEN THE FINGER POINTS TO THE MOON… “in 2007 and 2008 i painted two walls at Cuvrystraße in Berlin (with the support…
Posted by BLU on Friday, 12 December 2014
Altri ancora ritengono che la decisione su cosa fare di un’opera spetti solo a chi l’ha creata. Ed è forse questa l’idea che ha spinto Blu all’azione: non vuole lasciare alle istituzioni la libertà di decidere se, chi e come ci deve guadagnare. La critica pungente racchiusa nel gesto dell’artista, diffusa attraverso un post sul blog Giap del collettivo di scrittori Wu Ming, si scatena con veemenza contro Fabio Roversi Monaco, ex presidente della Fondazione Carisbo, la fondazione bancaria più potente della città, che finanzia la mostra, e attuale presidente di Genus Bononiae, che l’ha organizzata:
Niente di strano, allora, nel vedere Roversi Monaco dietro l’arroganza piaciona di curatori, restauratori e addetti alla cultura, che con il pretesto dell’amore per l’arte di strada trovano un’occasione di carriera, mettendo a profitto l’opera altrui. […] Street Art. Banksy & Co. è il simbolo di una concezione della città basata sull’accumulazione privata e sulla trasformazione della vita e della creatività di tutti a vantaggio di pochi.
Oltre a tutelare la “permanenza di queste opere nella storia”, secondo il curatore Omodeo la mostra apre le porte dei musei agli artisti di strada, restituendo alla loro forma d’arte “quella carica di dissenso che non aveva più” a causa della popolarità raggiunta. Precisa inoltre che le opere esposte di Blu “resteranno a un’associazione senza fine di lucro che non potrà metterle sul mercato”.
Dall’altra parte si schierano “coloro che non accettano l’ennesima sottrazione di un bene collettivo allo spazio pubblico, l’ennesima recinzione e un biglietto da pagare”, sempre secondo il post di Wu Ming. Perché se da un lato Bologna si dipinge come “culla della street art e pretende di recuperarla per il mercato dell’arte”, dall’altro “criminalizza i graffiti”. Ad esempio condannando l’artista AliCé a pagare una multa di 800 euro per aver dipinto alcuni muri della città.
In mezzo al fuoco incrociato di artisti, curatori, potenti e istituzioni, la scelta finale spetta ai cittadini, sta a loro decidere come godere della street art. Se pagando un biglietto di entrata per visitare un museo o quello del bus per raggiungere le opere nei luoghi dove sono state create.
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